Cultura

Strage, ma non solo: quel maggio ’74 che segnò con il sangue la storia italiana

Miguel Gotor
Martedì alle 18 in San Barnaba Miguel Gotor su «Servizi segreti, complotti golpisti e Stato infedele»
La stele in memoria delle vittime della strage di piazza della Loggia a Brescia - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it
La stele in memoria delle vittime della strage di piazza della Loggia a Brescia - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it
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Per i Pomeriggi di San Barnaba, martedì 27, alle 18 nella sala di corso Magenta, a Brescia, Miguel Gotor interverrà su «Servizi segreti, complotti golpisti e Stato infedele». Pubblichiamo un intervento del relatore dedicato alla Strage di piazza Loggia.

Il mese di maggio del 1974 si rivelò un periodo cruciale nella storia d’Italia perché si diedero appuntamento tutte le forze che stavano segnando la democrazia italiana tra speranze e tempeste. Una contemporaneità di azione che obbliga a distinguere i differenti elementi nella loro specificità, ma impedisce di separarli nell’analisi giacché, tutti insieme, condizionarono la storia di quegli anni e i comportamenti politici ed elettorali degli italiani.

Tra il 9 e il 10 maggio 1974 si concluse nel sangue la rivolta nel carcere di Alessandria perché l’irruzione dei militari guidati dal comandante Carlo Alberto Dalla Chiesa provocò la morte di sette persone e una quindicina di feriti, contribuendo ad aumentare la diffidenza tra le istituzioni e i cittadini.

Il moto di riforma sociale sul terreno dei diritti civili, culminato con il referendum abrogativo sul divorzio il 13 maggio 1974, segnò l’affermazione del fronte laico e progressista. Inoltre, si registrò un deciso salto di livello compiuto dal cosiddetto «Partito armato», in cui le Brigate rosse cominciarono ad acquisire un ruolo sempre più dominante sequestrando il 18 aprile il magistrato Mario Sossi che venne liberato il 23 maggio successivo. Infine, lo stragismo neofascista costituì il terzo fattore con la crudelissima strage di Brescia del 28 maggio 1974.

Nel corso di una manifestazione antifascista in piazza della Loggia, indetta da tutti i partiti dell’arco costituzionale e dai sindacati confederali, una bomba uccise otto cittadini inermi, colpendo giovani insegnanti, molti dei quali iscritti alla Cgil, pensionati, e operai. L’ignobile attentato scatenò l’indignazione di tutte le forze democratiche del Paese e ai funerali parteciparono oltre seicentomila persone. Tra i feretri colpiva quello di Giulietta Banzi Bazoli, di trentaquattro anni, insegnante, massacrata ma con il volto intatto, sposata con Luigi Bazoli, assessore comunale della Dc, fratello del banchiere cattolico Giovanni Bazoli: la sua bara era seguita da una semplice bandiera rossa perché militava in Avanguardia operaia.

Anche a Foggia, in 400mila seguirono le esequie del venticinquenne Luigi Pinto, uno dei tanti insegnanti che in quegli anni aveva lasciato il Sud per trovare un posto di lavoro al Nord, unificando l’intera Italia in un fermo quanto sdegnato grido di dolore contro la barbarie della violenza terroristica neofascista e l’impotenza dello Stato. A Brescia il servizio d’ordine, formato da seimila operai mobilitati dai sindacati, escluse la presenza di polizia e di carabinieri e la folla contestò sia il presidente del consiglio Rumor, sia quello della Repubblica Leone.

Naturalmente, non si contarono soltanto i morti, ma anche un centinaio di feriti: chi perse l’udito, chi iniziò ad avere continui attacchi di labirintite e di panico, chi non avrebbe mai dimenticato il momento in cui la morte gli aveva sfiorati, come una mano che ti schiaffeggia all’improvviso, sotto forma di incubo, di ricordo, di inquietudine perenne. Una strage ti «mangia la vita» come disse Lucia Calzari, sorella di Clementina Trebeschi, morta nell’eccidio a 31 anni, anche lei insegnante, che lasciò un figlio di un anno e mezzo.

Un lunghissimo iter giudiziario ha acclarato nel 2017 (43 anni dopo i fatti) con sentenza definitiva le responsabilità del dirigente di Ordine nuovo in Veneto Carlo Maria Maggi (già assolto per le stragi di piazza Fontana e della Questura di Milano) e di Maurizio Tramonte, informatore del Sid (i servizi segreti militari), ex militante missino infiltrato in Ordine nuovo, che sono stati entrambi assicurati alla giustizia italiana. Una sentenza fondamentale nella storia dell’Italia repubblicana perché ha suggellato, anche a livello giudiziario, le responsabilità della manovalanza neofascista nel periodo 1969-1974, ma anche le collusioni con apparati e uomini dello Stato.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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