La magnetica Sonia Bergamasco per la leggendaria Duse
Una performance magnetica, di abbacinante intensità, diversa da come avrebbe dovuto essere, ma infine unica. Pioveva forte, l’altra sera al Vittoriale, per la lettura teatrale «La Duse e noi. Ritratto plurale di un’artista»; e di fronte a spettatori (oltre 400, alcuni attrezzati con impermeabili e ombrelli, altri senza protezione) sparpagliati nell’anfiteatro in cerca di una copertura di fortuna, la splendida Sonia Bergamasco – attrice per il cinema, regista e interprete per il teatro – ha preso in mano la situazione, invitando il pubblico a raggiungerla sotto il palco coperto, dov’era sola al centro di una scena arredata semplicemente con un microfono ad asta.
Dopo un attimo di esitazione, alcuni lo hanno fatto, disponendosi a semicerchio dietro l’artista milanese: così ella poteva quasi sentire il respiro del pubblico, alle sue spalle e di lato, mentre consentiva a noi di ammirarne la sopraffina tecnica di respirazione diaframmatica e la precisione delle pause, unite a una gestualità mai enfatica.
La lettura scenica restituiva con appassionata misura i diversi accenti delle lettere che amici e ammiratori, addetti ai lavori e colleghi, scrissero alla leggendaria Duse (di cui quest’anno ricorre il centenario della scomparsa), e che Bergamasco ha selezionato, per offrircene un ritratto indiretto ma volutamente avvolgente. La prospettiva laterale permetteva di avvicinarsi a un monumento nazionale come la Duse recuperandone la complessità, «non tanto per ricordarla, quanto per farne vibrare ancora una volta la vitalità straordinaria, quell’energia innovativa che ha catturato in anticipo – spiegava – lo spirito del ‘900».
Da Pirandello, che le offrì invano una parte in commedia, a Mary Pickford, diva hollywoodiana che la vide recitare poco prima della sua morte improvvisa; da Grazia Deledda, che la incensa per l’interpretazione nel film tratto da «Cenere» (l’unico documento video rimasto, poco amato dalla Duse) all’intellettuale antifascista Piero Gobetti che ne loda «la selvaggia originalità, la romantica rivelazione del genio»; dalla giornalista Margherita Sarfatti, amante di Mussolini, prima adorante e poi critica, ad Amelia Pincherle Rosselli (madre degli intellettuali Carlo e Nello, anch’essi – come Gobetti – vittime del regime), la quale sostiene che vederla «non è andare a teatro ma innalzarsi»: tutto concorre a definire la Duse, pur senza mai afferrarla. Quarantacinque minuti di grande bellezza, in aderenza al festival itinerante che si fregia del nome.
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