Cultura

La scommessa di Kant: «Non siamo soli nell’Universo»

Da secoli scienziati e filosofi si interrogano sull’esistenza di altre forme di vita intelligente. Lo scoglio è il paradosso di Fermi: «Dove sono tutti?»
Un'astronave aliena
Un'astronave aliena
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«Se fosse possibile decidere la cosa per mezzo di una qualche esperienza, io scommetterei tutta la mia fortuna sul fatto che almeno uno dei pianeti che vediamo sia abitato. Così non è una semplice opinione, ma una ferma fede (sull’esattezza della quale scommetterei molto più della vita), che mi fa dire che esistono abitanti di altri mondi».

Queste parole, che non sono di un pazzo visionario, ma di Immanuel Kant, il filosofo della razionalità noto per il rigore e la serietà, risalgono al Settecento. All’epoca la Via Lattea era l’unica galassia conosciuta. Oggi sappiamo che esistono centinaia di miliardi di galassie, ognuna delle quali con una miriade di stelle e un’infinità di pianeti, numerosi dei quali presentano condizioni simili alla Terra. Non solo: secondo alcune teorie fisiche non esisterebbe nemmeno un solo universo, bensì un multiverso, «che dobbiamo immaginare come una schiuma composta da miliardi di universi-bolla», come ben scrive il filosofo Elliott J. Thomas nel volumetto «Siamo soli nell’universo?».

Il filosofo Immanuel Kant
Il filosofo Immanuel Kant

Se si considera tutto questo le possibilità che Kant potesse aver ragione, e quindi potesse vincere la sua scommessa, aumentano notevolmente. L’autore della «Critica della ragion pura» non è stato peraltro il primo tra i pensatori nella storia dell’uomo a ipotizzare l’esistenza di altre forme di vita intelligenti. Già nell’antichità non pochi, alzando lo sguardo al cielo, avevano immaginato altri mondi e altre creature. Per esempio Metrodoro di Chio (allievo di Democrito vissuto tra V e IV secolo a.C.) scriveva emblematicamente: «Considerare la Terra l’unico mondo abitato in uno spazio infinito è assurdo come ritenere che in un intero campo seminato a miglio germogli un solo granello». Epicuro, per il quale i mondi erano infiniti, andava dritto al punto: «Crediamo che in ogni mondo vi siano creature viventi, piante e altre creature che vediamo nel nostro». Anche Lucrezio riteneva che in alcune regioni dello spazio esistessero «altre terre, abitate da altre genti e altri animali».

Con un bel balzo in avanti arriviamo a Niccolò Cusano, che nel Quattrocento parlava di «abitanti delle altre stelle». Le citazioni, anche nei secoli successivi, potrebbero essere innumerevoli, ma certamente non si può prescindere dall’astrofisico Frank Donald Drake, che nel 1961 formulò una equazione per stimare il numero di civiltà extraterrestri nella nostra galassia.

Il premio Nobel per la fisica Enrico Fermi
Il premio Nobel per la fisica Enrico Fermi

Tutto bene, senonché ci imbattiamo nel paradosso di Fermi, che ci riporta letteralmente con i piedi per terra: «Se l’universo e la nostra galassia pullulano di civiltà sviluppate, dove sono tutte quante?». Già: dove sono? Possibile che non siamo mai riusciti ad avere prove inconfutabili della loro esistenza? Possibile che non sia mai stato stabilito un contatto? In realtà, se incontri ravvicinati non ci sono mai stati, potremmo non dovercene dispiacere più di tanto: di fronte a una civiltà tecnologicamente molto più evoluta non saremmo in grado di difenderci, ma potremmo solo sperare che sia amichevole. Ossia che questa civiltà, sebbene aliena, ci tratti non come noi trattiamo gli animali, ma con più... «umanità».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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