Piuttosto Che, l'umorismo garbato che fa molto ridere i millenial

I suoi fan bresciani l'hanno capito subito: quando ha ripostato nelle sue storie Instagram il Belvedere del Castello mostrato dall'Estetista Cinica è stato facile intuire che sarebbe arrivato in città. Ed effettivamente Pierluca Mariti, alias Piuttosto Che, sarà presente a inizio settembre in occasione della Sagra Fagiana di Cristina Fogazzi.
Duecentomila follower su Instagram, una posta del cuore social che ormai è un cult (i suoi «Tell mama» settimanali), diversi format comici che a quanto pare solo i millennial capiscono fino in fondo: Piuttosto Che è una scatola cinese di umorismo, personaggi e riflessioni (sempre tra il serio e il faceto). E ora, da un annetto a questa parte, ha anche uno spettacolo dal vivo (che sarà nel Belvedere del Castello domenica 4 settembre alle 21; i biglietti gratuiti sono già sold out): il suo primo lavoro per il palco si intitola «Ho fatto il classico», è nato come un reading letterario (prodotto da WeReading), strizza l'occhio all'arroganza intellettualoide di cui non nasconde di essere vittima, mischia Ariosto con il twerking e fa davvero molto ridere. Con intelligenza, garbo, profondità e rispetto.
Ormai non sei più solo Pierluca Mariti: il web ti conosce come Piuttosto Che. Com'è nato questo nome?
«Completamente a caso! Non c'era un pensiero dietro a "piuttosto_che": avevo deciso che non volevo farmi trovare da colleghi e parenti come accadeva su Facebook, che era ormai diventato il social dei fatti degli altri. Ma sono arrivato sul Instagram troppo tardi e tutti i nick fighi erano presi. Ero appena arrivato a Milano, tutti dicevano "piuttosto che". Ma non l'ho scelto, come tanti credono, perché sono un grammar-nazi! È stato davvero casuale, mi divertiva».
La tua è una storia interessante, di coraggio millennial: a febbraio hai mollato il posto fisso come manager in Ikea per seguire la carriera artistica che si stava delineando con il successo su Instagram. Sei felice?
«Sono molto contento. Sembra una scelta di "coraggio con un pizzico di follia", come si dice, uno sforzo condito da timore, ma credo che il vero sforzo lo feci nel 2008 quando mi iscrissi a Giurisprudenza seguendo una strada che qualcun altro aveva tracciato per me. Era un cammino rassicurante e sicuro: se ti impegni a testa bassa i risultati li ottieni e il terrore dei genitori (che tu finisca sotto un ponte) riesci a sconfiggerlo. Ma ti fa stare bene? Non potevo vivere la vita di un'altra persona ancora per molto. Mi sono ricongiunto. In questi giorni a casa dei miei genitori guardavo dei video di me da piccolo, in cui già davo spettacolo. Chi mi segue li conosce, li mostro spesso: si vedeva già il destino segnato».
E cosa suggeriresti a chi pensa di buttarsi?
«La cosa più difficile è ascoltarsi. Farsi le domande più scomode e darsi le risposte più sincere. Cosa ti rende felice? Cosa sei bravo a fare? Se vogliamo fare delle scelte che hanno una certa dose di rottura con il passato, dobbiamo prepararci a una frattura con noi stessi. Ci dobbiamo mettere un pochino a disagio per trovare il nostro agio».
Hai anche un podcast video, «E invece», che parla di cambiamento e che trasmettevi in diretta su Instagram. Hai in mente nuove puntate?
«Non sono bravo a pianificare e a creare piani editoriali, quelle belle cose che ti insegnano quando segui i corsi per social media manager. Sono più casuale. Quel podcast era necessario, avevo bisogno di farlo perché io per primo stavo cambiando. Attraversare un grande cambiamento è difficile, ma ripescare momenti già vissuti aiuta ad affrontare quelli successivi. Ho ancora diverse cose da affrontare, anche in un podcast, ma forse lo farò in maniera diversa, riprendendolo e farcendolo meglio, magari registrandolo nuovamente per una piattaforma specifica e con contributi di persone esterne».
Pierluca Mariti è molto tragicomico e soprattutto ha un'ironia sempre rispettosa, che non scade nella classica guerra tra sessi e che non offende mai. Percepisci l'alba di una nuova comicità più inclusiva?
«Ci sono tanti pubblici e tante formule espressive. Una porzione di spettatori ancora vuole ridere di certe cose, intendendo la comicità come identitaria. Non penso di essere migliore dei comici vecchio stampo solo perché la battuta grassofobica non fa per me. Ricordo di aver riso di battute di quel tipo, ma sono contento di essere in grado, ora, di sapermi mettere sotto una lente di giudizio. Credo rimarrà una pluralità di stili e di voci, ma sono anche convinto che si stia creando lo spazio per nuove formule espressive. Più si usa un nuovo modo di descrivere la realtà, e più la società ne trae beneficio».

Secondo te queste nuove formule espressive sconfineranno mai dai social alla tivù?
«Non lo so se la televisione sarà il punto di arrivo: la mia generazione non la guarda più. Abbiamo però sempre bisogno di intrattenimento. Mi chiedo: in questo momento il canale di connessione tra social e tv è scontato o necessario? Sono curioso di vedere come evolveranno i programmi alla luce di tutte le nuove forme d'intrattenimento, quello sì».
Il tuo pubblico, online e in platea, è a maggioranza femminile. Come mai secondo te? In futuro ti aspetti che questo bacino d'utenza si diversifichi?
«Non so per quale motivo! Posso supporre che, dato che Instagram è statisticamente più femminile a livello di interazione, questo si rifletta sul pubblico. Immagino anche che i contenuti che porto non siano tradizionalmente respingenti il mondo femminile (anche se non mi piace chiudermi in questi termini). Ma non sento la necessità di un equilibrio, e chissà se avverrà. Sul palco cerco di dimenticarmi il mio genere: non porto, appunto, la guerra tra i sessi e le classiche contrapposizioni e sento che il mio discorso sia universale, per persone giovani. I miei parenti mi dicono che nello spettacolo non si capisce niente. "È perché non hai Instagram!", dico io. Quindi non è tanto uno spettacolo per maschi o femmine, ma per millennial».
Cosa dovrà quindi aspettarsi il pubblico da «Ho fatto il classico»?
«Il reading è inserito nella Sagra Fagiana, un appuntamento divertentissimo, come tutto ciò che organizzano Cristina Fogazzi e il team di VeraLab. È un circo molto divertente, una maniera diversa di ripensare i rapporti con gli influencer in maniera interattiva. Oltre a me ci sarà anche Paolo Camilli con "L'amico di tutti" (il 3 settembre alle 21 nel Cortile del Broletto, anche quello sold out, ndr), e tutta l'esperienza sarà divertente. Spero anche di chiacchierare con il pubblico. Mi piace l'idea che ogni persona, a seconda della data in cui viene, senta che quella replica è speciale. E infatti, un po', cambia sempre».
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