Pierluca Mariti: «La mia mitomania, a teatro con i temi delle medie»

Il primo spettacolo si intitolava «Ho fatto il classico» e – intuibile – sul palco Piuttosto che portava i grandi della letteratura, ironizzandoci sopra. Per il secondo monologo il comico – al secolo Pierluca Mariti – ha scelto nuovamente il filo rosso della lettura, mettendoci un po’ di autoironia e finta megalomania. «Grazie per la domanda» andrà in scena al Teatro Clerici di Brescia venerdì 28 marzo alle 21.15 (biglietti e info su www.zedlive.com): la voce dei millennial (o una delle voci, perlomeno) ci parla dello spettacolo in questa intervista.
Pierluca, possiamo definirla comico è un contenitore troppo stretto?
Mi piace che si veicoli come primo ruolo, perché sento di esserlo: una persona che cerca di fare ridere gli altri. Avendo iniziato con i social e avendo sperimentato molte cose potrebbe essere un’etichetta limitante, ma ormai ho imparato a dire «comico», quando mi chiedono cosa faccio nella vita. Ormai mi aspetto la sorpresa nello sguardo di chi ho di fronte, ma lo dico con orgoglio. «In che senso, comico?», rispondono. E quando dico «Faccio spettacoli comici» gli occhi si sgranano.
Vive ancora Milano? È la città giusta per chi fa questo mestiere?
Vivo lì, ma la città giusta per i comici è quella con una rete ferroviaria ben sviluppata, visto che si è sempre in viaggio. Milano di certo è comoda ed efficiente, ma la verità è che sto sempre a Roma, mia seconda casa. La duplice natura mi permette di vedere le cose con comicità: a Roma penso sempre all’efficienza milanese, a Milano penso alle differenze con Roma e all’entropia di questo luogo, e sorrido dell’una e dell’altra.
Prima «Ho fatto il classico», poi «Grazie per la domanda». Cos’è cambiato nella scrittura dal primo al secondo spettacolo live?
Il primo era nato per caso da un reading in cui avevo messo in fila alcuni testi classici. Il discorso l’ho creato a posteriori. Qui l’operazione è diversa: parto da un racconto personale. All’inizio è stato quindi necessario capire di cosa avessi bisogno di parlare. Ma ho voluto mantenere comunque l’elemento della lettura: al posto dei classici, leggo i testi dei miei temi delle elementari, delle medie e del liceo. Quindi il cambiamento è anche un forte attacco di mitomania. Metto sullo stesso piano Ariosto e il Pierluca delle medie.
Ciò che la distingue, tra le altre cose, è la scrittura garbata, mai sguaiata, mai volgare. In un mondo spesso polarizzato, è difficile mantenere toni eleganti?
Credo sia più facile di quanto si creda. Siccome viviamo in uno spazio pubblico che spesso ci invita a prendere toni e posizioni abbastanza dissonanti, quasi fosse l’unica maniera per emergere, non è difficile fare l’operazione inversa. Anche perché ti fa spiccare, per assurdo. Questo tratto mi viene riconosciuto: mi chiedono come faccio a non offendere. A me piace lo humour nero, eh, non sono un sensibilone, ma c’è tanta roba che fa ridere senza offendere. Richiede solo un certo sguardo sulla realtà. Poi va detto che io tendo a parlare di me stesso (la mitomania di cui sopra), quindi è più facile non offendere.
Qual è in questo momento l’hot topic che i comici e le comiche dovrebbero trattare e smascherare, più di tutti?
Non voglio dire agli altri come fare questo lavoro, ma la mia visione è che la comicità serve per prendersi meno sul serio, per alleggerire la vita. Il comico e la comica ti aiutano a guardare la vita con un occhio più dissacrante e scanzonato. Se questo venisse davvero preso dal pubblico, ci sarebbero più empatia, solidarietà e serenità nei rapporti, soprattutto oggi, con la spersonalizzazione delle relazioni a cui portano i social.
Il suo primo romanzo «Niente di che» uscì nel 2023. Com’è andata l’esperienza narrativa?
Mi è piaciuto moltissimo scrivere, prendere il tempo per creare una storia (nella quale ho messo tanto della mia vita, mettendo un punto a tante cose personali). Il processo creativo è forte, anche di più rispetto allo spettacolo, che si adatta sul palco e si trasforma. Ma mi sono anche accorto che preferirò sempre il dialogo dal vivo con il pubblico. Lì la risposta è immediata, con il libro – dalla scrittura alla pubblicazione, dall’arrivo sugli scaffali alle opinioni dei lettori – la filiera è troppo lunga per i miei gusti.
Dopo la tournée ha già in mente a cosa lavorerà?
Vorrei non perdere l’allenamento dello stare sul palco, magari trovando formule meno complesse rispetto al tour, ma che mi consentano una certa regolarità con il pubblico. Con in mente, sempre, un terzo spettacolo.
A proposito di tournée, ci sarà anche una coda di tour all’estero. La community la segue anche lì?
Già con il primo spettacolo girai diverse città europee: è divertentissimo incontrare gli italiani all’estero. Non vedono l’ora di ascoltare l’italiano e di sentire la comunità. In più non devi preparare aneddoti sulla città in cui ti esibisci, come in Italia. Basta giocare sempre sull’italianità e sulla superiorità degli italiani sui francesi, sugli inglesi... Di solito osservo ciò che accade in quelle otto ore che separano l’atterraggio dall’arrivo sul palco, racconto ciò che mi è successo criticando i trasporti e le consuetudini e trovo tutti d’accordo. È molto divertente.
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