Cultura

«Perché non iniziare una rivoluzione dell’ottimismo?»

Claudio Cerasa, ospite giovedì 4 ottobre a Librixia, parla di «Abbasso i tolleranti»: titolo provocatorio per riflessioni profonde
Claudio Cerasa
Claudio Cerasa
AA

La tolleranza non è una virtù teologale, ma l’uso eccessivo che si sta facendo di questa pratica, traslocata dal ruolo di neutrale, paziente sopportazione, a quello di semi indifferenza, potrebbe renderla tale. Bene? Male? I pericoli sono parecchi e Claudio Cerasa, scrittore e giornalista, direttore del Foglio (giovedì 4 ottobre alle 19 ospite di Librixia), ne commenta l’espandersi tra i caratteri primari e secondari della vita pubblica e privata in un lucido pamphlet che suona come un avvertimento e un richiamo ad agire: «Abbasso i tolleranti» (Rizzoli, 264 pp. 18 euro). Ma che cos’è la tolleranza? E l’intolleranza che sempre più spesso è uno scudo dietro il quale si nascondono orde di malmostosi, rancorosi, incompetenti, apprensivi, indecisi e refrattari ad ogni tipo di coinvolgimento?

Un’ampia vetrina di queste categorie che dovrebbero sostenere il peso della società civile che in molti punti mostra segni di cedimento e disgregazione è allestita da Claudio Cerasa come un «Manuale di resistenza allo sfascimo» sempre più accentuato. Ma quali sono i maggiori aspetti critici della questione e quali i possibili rimedi? «L’essere tolleranti con gli intolleranti - sostiene Cerasa - ha portato ad avere una società in cui ogni giorno viene rosicchiato un pezzo della nostra libertà e della nostra democrazia».

Noi italiani siamo diventati troppo tolleranti? E l’eccessiva tolleranza è una premessa all’imbarbarimento?
No, se i tolleranti, che sono le persone che cercano di stare con i piedi per terra e accettano di essere calpestate arrivano a un punto in cui o si ribellano oppure accettano di essere sottomesse. In un Paese come l’Italia, che ha una classe dirigente che invece di dirigere digerisce tutto, la classe dirigente deve avere il coraggio non soltanto di suggerire tutto quello che accade ma anche di indirizzare la giusta traiettoria del Paese.

Come si dovrebbe reagire?
Dovremmo reagire portando avanti una grande rivoluzione strutturale finalizzata a ribellarci contro alcune questioni virali come la cultura del sospetto e della gogna che ci vuole convincere che ciò che è virale conta più di ciò che è reale; e contro la cultura che ci vuole convincere che l’evoluzione della democrazia sia la fine della gerarchia.

Che cosa ci ha reso tolleranti, quasi indifferenti?
Flaiano diceva che in Italia la situazione è grave ma non seria: noi per troppo tempo abbiamo fatto finta che la situazione fosse seria ma non grave, ma la situazione era sia seria che grave pur essendo seriosa, e quindi abbiamo tutti quanti contribuito non ribellandoci agli intolleranti, cioè ai populisti, a non difendere un tema cruciale che è il principio di realtà. Negare il principio di realtà significa accontentarsi di ragionare su un Paese non reale che ci confina tutti quanti in una grande bolla. Pensiamo alla sicurezza dell’Italia e all’economia dell’Europa, che è il luogo chiave per affrontare le questioni e parlare dei veri problemi dell’Italia senza scaricarli su alibi che non esistono.

La tolleranza è fragilità o un eroismo negativo?
È una totale fragilità perché ci ha portato ad accettare - per esempio - la società del pessimismo. Ogni giorno in tutto il mondo le cose vanno un po’ meglio, e ci sono 250mila persone che escono dalla povertà, ma siamo convinti che le cose vadano sempre peggio e chiunque accetta questa convinzione ha ragione. E non c’è mai nessuno che fa una rivoluzione non dello scontento ma dell’ottimismo, che non significa essere realistici, irrealistici o utopistici: significa semplicemente considerare una notizia una buona notizia e non soltanto una notizia qualunque.

Tolleranti e intolleranti: come si confrontano?
Di fronte agli intolleranti che si arrabbiano subito, i tolleranti cercano sempre con le loro parole di calmare le acque. I tolleranti sciocchi - quelli più pericolosi -, hanno in mano uno strumento importante che è quello di essere antisistema, e oggi essere antisistema porta a considerare una forma pericolosissima: la non competenza un valore uguale alla competenza. Invece bisogna stabilire le coordinate della nostra democrazia. È il caso dei vaccini e di tanti altri fatti e fatterelli del nostro vivere quotidiano.

 

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Condividi l'articolo

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato