Cultura

Perché «Don’t Look Back In Anger» è diventato un nuovo inno

Dopo gli attentati di Londra e Manchester il brano degli Oasis ha unito la Nazione, scavalcando anche i confini britannici
Don't Look Back in Anger allo stadio di Parigi
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Manchester e Londra, ironia della sorte poco dopo la Brexit, sono diventate capitali d’Europa. Gli attacchi terroristici che hanno colpito al cuore le due città hanno quanto mai compattato l’Inghilterra, che si è stretta attorno alle vittime con manifestazioni e concerti, ma che si è anche «rinsaldata» come comunità, parola usata spesso anche dal leader politico del Partito Laburista Jeremy Corbyn.

E ogni comunità cerca un simbolo, qualcosa che sia subito riconoscibile, e lo sia da tutti. Albione ha scelto gli Oasis, e in particolare una canzone, «Don’t Look Back In Anger», singolo cantato da Noel Gallagher e contenuto nell’album del 1995 «(What’s The Story) Morning Glory?». 

Era in qualche modo già chiaro che l’«anthem» oasisiano fosse diventato colonna sonora della Nazione al «One Love Manchester», il concerto di Manchester post-attentato. Un evento mediatico che ha catalizzato occhi e orecchie di tutta la città, dell’Inghilterra, dell’Europa e del mondo.

Da brividi l’esecuzione della canzone da parte di Chris Martin dei Coldplay con Ariana Grande. Altro pizzico di ironia della sorte, l’autore e cantante non era presente al concertone. Aveva appena compiuto 50 anni e si trovava all’estero. Presente, invece, il fratello Liam, fresco di un nuovo debutto, stavolta in veste di solista

Ma «Don’t Look Back In Anger» ha sconfinato, e martedì a Parigi, prima dell’amichevole Francia-Inghilterra, la Republican Guard Military Band ha voluto offrire un tributo alle vittime di Londra e Manchester, eseguendo la canzone degli Oasis e scatenando cori in tutto lo stadio. Voci inglesi, voci francesi.

Con le dovute proporzioni, «Don’t Look Back In Anger» sta diventando la nuova «Imagine» (e nella strofa c'è pure un rimando Lennoniano nel verso «So I’ll start a revolution from my bed»).

Perché? Le radici sono probabilmente da cercare nella profondità che quel ritornello è riuscito a raggiungere nella cultura inglese. Gli Oasis e le loro canzoni valgono per l’Inghilterra ciò che è Vasco per l’Italia. Un qualcosa di talmente popolare da diventare familiare.

Perché gli Oasis sono stati una band britannica, probabilmente l’ultima - con buona pace di Chris Martin e dei suoi Coldplay - in grado di scrivere canzoni che ormai trascendono la propria natura e sono diventate, appunto, inni.

E tra tutte queste, nei giorni dopo gli attentati, «Don’t Look Back In Anger» torna più di ogni altra hit uscita dalla penna di Noel Gallagher. Non ci sono «Wonderwall» o «Supersonic» che tengano.

Il segreto? Probabilmente proprio quel ritornello, che invita a «non guardare indietro con rabbia», facendo il verso «al contrario» a «Look Back in Anger», commedia del drammaturgo britannico John Osborne del 1956. E il rovescio della medaglia di questa frase porta con sé, senza che gli Oasis o Noel forse nemmeno lo volessero, due azioni che fanno rima con rinascita: guardare avanti (e non indietro), e avere uno sguardo positivo. Perché una comunità che ritrova se stessa ha bisogno anche di forza interiore, e di farsi coraggio. 

Storia di una canzone che sfugge dalle mani di chi la scrive, per toccare il mondo seguendo la sensibilità di ogni persona che gonfia i polmoni per raggiungere le note di quell’ormai immortale «So, Sally can wait...»

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