Paleontologia, traumi e danza: D’Agostin all’Odeon con «Asteroide»

Due volte premio Ubu - come miglior performer under 35 nel 2018 e per il miglior spettacolo di danza nel 2023 – Marco D’Agostin è atteso martedì 21 ottobre, alle 20.45, al Teatro Odeon Giacinto Prandelli di Lumezzane per la Stagione 2025-2026.
Il suo spettacolo «Asteroide» è una partitura per voce e corpo che attraverso la paleontologia, la danza e il sentimento vuole raccontare gli infiniti modi con i quali la vita trova sempre il modo di resistere. Sia che si tratti del pianeta, nell’istante in cui un corpo celeste sta per impattare sulla sua superficie, o delle nostre storie personali, quando una coppia inaspettatamente si separa per sempre. Abbiamo chiesto all’artista una anticipazione sullo spettacolo.
D’Agostin, cosa hanno in comune le storie d’amore che finiscono con l’estinzione dei dinosauri?
Negli anni Ottanta i paleontologi fecero una scoperta eccezionale: scoprirono, cioè, che fu un asteroide a provocare l’estinzione dei dinosauri. La geologia ricevette uno scossone simile a quello che può ricevere una persona quando viene lasciata all’improvviso, perché fino a quel momento la scienza aveva sempre teorizzato che tutti i grandi processi di cambiamento della Terra avvenissero in modo lento, graduale. È la stessa cosa che ci auguriamo per le nostre vite, perché è difficile accettare i cambiamenti bruschi, violenti. E invece, esattamente come è accaduto nella storia del Pianeta, le cose possono cambiare radicalmente anche nelle nostre biografie.
Come si racconta una storia come questa all’interno di un musical?
«Asteroide» non è esattamente un musical. Mi sono avvicinato a questo genere senza amarlo. Del musical mi interessava il paradosso, il fatto che tutti improvvisamente si mettano a ballare e a cantare, esattamente come un asteroide che piomba sulla realtà. Iniziare a cantare e a danzare quando questa cosa sembra non avere senso è un modo, in realtà, di distruggere l’ordine delle cose. Questa insensatezza è un’offerta di pace, un modo per curare una ferita.
Come è nata questa storia?
Ho avuto anch’io quella ferita, la ferita di una cosa accaduta all’improvviso che ha cambiato tutto. Come sempre ho cercato conforto nella scienza perché trovo che le storie scientifiche siano piene di spazi nei quali ci possiamo ritrovare, trovare noi stessi, trovare delle metafore che ci consolano. E poi ho trovato conforto nella danza e nel canto perché è sempre attraverso una forma di godimento che si guarisce.
Ci sono altre storie scientifiche che possono confortarci?
Parlo del concetto di tempo profondo, che è il tempo geologico, il tempo delle montagne, dei mari, delle specie che si estinguono. È una metafora potente: siamo immersi nel tempo profondo, ma non ce ne rendiamo veramente conto, perché viviamo troppo poco per percepirlo. Di fronte al tempo profondo, il paleontologo non può mai essere veramente certo del legame di discendenza tra un fossile e un altro, deve abbandonare l’idea di poter costruire delle relazioni dirette. È una condizione molto umana, questa: il fatto, cioè, di essere troppo piccoli rispetto al tempo nel quale siamo immersi. Ecco, questo mi interessava: restituire alla geologia il suo fascino.
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