Ne «La montagna nel lago» una Montisola sospesa tra mistero e storia

Il nuovo romanzo di Jacopo De Michelis è ambientato sulla perla del Sebino. La storia si intreccia con quella di Junio Valerio Borghese e della X Mas
L'autore, Jacopo De Michelis
L'autore, Jacopo De Michelis
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L'occasione per scoprire il nuovo romanzo «La montagna nel lago» (Giunti editore, collana M, 576 pagine, 18 euro) sarà quella di venerdì 11 ottobre: Jacopo De Michelis incontrerà i lettori bresciani (e sebini in particolare) a Castello Oldofredi, a Iseo, alle 20.30.

«In questo romanzo nessuno è innocente, neppure il protagonista. E la vittima è più colpevole di tutti» stigmatizza Jacopo De Michelis, autore del bestseller d’esordio «La stazione» (vero caso da 70mila copie), che oggi, a distanza di quasi tre anni, torna in libreria con «La montagna nel lago».

Meglio sarebbe dire che se un innocente c’è, quello è il luogo in cui è ambientato il libro: Montisola. Molto più di una quinta, un vero co-protagonista sospeso tra il proprio passato e l’invenzione d’autore. «Ho cercato di rendere il fascino e la suggestione dell’isola, le sue bellezze, le tipicità (enogastronomiche incluse) e le tradizioni («dai retifici, in cui tanta parte hanno le donne, ai naécc»): sono curioso di sapere cosa ne penseranno i lettori bresciani» assicura De Michelis, editor («esserlo mi ha aiutato: dai libri altrui ho imparato tanto»), nipote del fu ministro socialista, milanese di natali e veneziano d’adozione, che all’isola sebina è giunto partendo da un ricordo d’infanzia. «Un’amica di famiglia mi ci portò in vacanza quando avevo 10 anni». Da lì sono partite le ricerche sulla storia locale intrecciata a quella con la S maiuscola (della Seconda guerra mondiale e non solo) e i sopralluoghi nei borghi isolani, fra i cui vicoli si dipana quella che, assicura, «è una vicenda d’invenzione».

Come definisce il romanzo?

«Un mystery più che un thriller, molto distante da "La stazione". Ma in comune con esso ha il fatto di nascere da un luogo fisico reale». La vicenda ha per protagonista Pietro Rota, fuggito all’ombra della Madonnina negli Anni ’80 in cerca di fortuna come giornalista. Lo incontriamo mentre, mal in arnese e senza il successo sperato, si imbarca verso Peschiera Maraglio: torna per soccorrere il padre, anziano pescatore accusato di aver torturato e ucciso il più ricco (e controverso) cittadino dell’isola. Avvia un’indagine «parallela» a quella ufficiale con l’aiuto di un vigile urbano, amico d’infanzia. Il tutto con ripetuti balzi temporali, ben congegnati, tra il passato e l’epoca in cui è ambientato il romanzo, il 1992, «l’anno di Tangentopoli, di cui arriva l’eco, scelto anche perché i personaggi, collegandosi agli Anni ’40, non fossero troppo vecchi».

Al riguardo, la storia si intreccia con quella di Junio Valerio Borghese e la X Mas, ora tornata a far discutere...

«Già. Anche grazie a libri di studiosi locali, ho ricostruito la presenza del Principe nero, della sua famiglia e di ufficiali a lui vicini a Montisola e sull’isola di San Paolo: quasi un feudo sicuro, oltre che già noto alla Decima che sul lago d’Iseo aveva sperimentato minisommergibili in vista del prospettato attacco al porto di New York (degli uomini-rana sul Sebino resta qualche traccia, ndr). Borghese in realtà fu poco presente. Ma a uno storico, ex insegnante del protagonista, faccio ricordare come la X Mas fosse realtà diversa da quella oggi rievocata, quasi una compagnia di ventura, tanto che il rapporto fra il suo comandante e Mussolini fu tutt’altro che sereno: fu impiegata anzitutto per la lotta ai partigiani e contemplò figure come Umberto Bertozzi (a lungo a Lonato, ndr), uno che nulla ebbe da invidiare ai più feroci nazisti. Quando ho iniziato a scrivere il libro, il generale Vannacci non aveva ancora riportato alla ribalta la X Mas: ma questo conferisce ancor più valore al romanzo, non solo come fatto narrativo o di intrattenimento». E sul piano locale, accanto alla Decima, ecco ritrovare spessore altre pagine lontane, comprese quelle della Resistenza sul Sebino o del mitragliamento del battello «Iseo».

Ci sono personaggi che hanno un alone letterario...

«Il presunto omicida, un pescatore, è ispirato a un classico, il protagonista de "Il Vecchio e il mare", mentre il Commissario ricorda un po’ Nero Wolfe e un po’ Poirot, ma in realtà è un furbacchione svogliato, pronto a prendersi meriti altrui. Realistico, visto che in Italia assistiamo a collezioni di disastri investigativi».

Altri personaggi invece sono molto «nostrani».

«I loro nomi sono scelti a sentimento fra i più diffusi nel Bresciano e a Montisola. Ma non si rifanno a figure reali. Con "La stazione" mi è capitato che un lettore "riconoscesse" un personaggio che era di pura invenzione». Cifra di un realismo accurato. Chissà che non ricapiti anche con «La montagna nel lago», che di certo regala ribaltamenti, tensione narrativa e suspense.

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