Michele Gazich, il violinista errante approda in Valcamonica

Il violinista errante, compositore e scrittore di canzoni Michele Gazich, approda in Valle Camonica accompagnato dalla violoncellista triestina Giovanna Famulari. Porta in dote il suo ultimo album, “solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea” (tutto con le minuscole, in un mondo in cui troppi si danno la maiuscola, come ci tiene a sottolineare Gazich medesimo): l’appuntamento è venerdì 19 (alle 21, con ingresso libero), nella sala polifunzionale di Berzo Demo, all’interno del festival “Dallo Sciamano allo Showman”.
Il bresciano Gazich ha definito il suo un disco “a rilascio lento”: consta di nove tracce concepite tra il 2008 e il 2024 e registrate tra il 29 settembre 2017 e il 29 giugno 2024 dallo stesso con la sola Famulari. Un arco temporale nel corso del quale ha peraltro pubblicato altri dieci lavori, suonato in proprio e collaborato con musicisti di rango planetario, come Mary Gauthier, Michelle Shocked, Mark Olson, Eric Andersen, Moni Ovadia. Abbiamo parlato con l’artista della sua musica, che artiglia l’anima.
Gazich: ha optato per pochi live, in posti dal fascino particolare…
Quello camuno sarà il decimo concerto di “Miracoli in viaggio”, percorso cominciato in Val d’Orcia nell'agosto 2024, per poi toccare luoghi sempre significativi e carichi di senso. L’invito allo Shomano (neologismo con il quale le ideatrici Nini Giacomelli e Bibi Bertelli amano indicare la loro creatura, ndr) mi consente di prendere per la prima volta parte a un festival che ha una storia già importante nell’ambito della canzone d’autore (e che gli assegnerà la Targa Bigi Barbieri, ndr).
Sul palco, come già in studio, l’abito sonoro è asciutto...
Puntiamo su concentrazione, essenzialità, emotività. Consapevoli di fare una proposta atipica, in continuità con il lavoro in studio: niente sezione ritmica e niente chitarra, che pure è lo strumento principe nell’universo cantautorale. Ascolterete il pianoforte, a cui ci alterniamo Giovanna ed io, le nostre voci, naturalmente i nostri strumenti d’elezione e qualche tintinnio di quelle che amo chiamare "percussioni psicoacustiche".
Com’è la risposta del pubblico?
Mi ha colpito, in positivo. Si dice che il pubblico di oggi voglia ri-conoscere, più che conoscere. Io ho sempre cercato di presumerne invece l’intelligenza, e il pubblico mi ha ripagato. Alla fine di ogni concerto tutti gli spettatori, spontaneamente, cantano con noi il “mantra” che dà il titolo all'album: “solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea”... Un momento che ogni sera mi conforta e mi emoziona. Mi dà speranza.
Nella sua carriera solista, la contaminazione tra musica colta e popolare è divenuta stile. Ma in termini di sonorità qui affiora più che mai la formazione classica che ha in comune con Giovanna Famulari…
Non siamo stati lontani dalla musica classica per disamore, ma in disaccordo con le modalità con cui viene proposta. La canzone d’autore, nell'album che abbiamo registrato insieme, dialoga con il Classicismo Viennese (Mozart, Haydn, Beethoven, per intenderci, ndr). Non era mai stato fatto e non pochi l'hanno capito.
Collaborerà ancora con Moni Ovadia?
C’è una novità, che forse posso rivelare: da “Yiddish Blues” (affondo poetico e musicale nelle culture dell’esilio, un concerto “blues non canonico ed eretico” di cui Gazich e Famulari hanno curato direzione artistica e arrangiamenti, ndr) sta nascendo un disco.
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