Musica

Reunion degli Oasis a Manchester, rito generazionale che è già storia

Cinque date di pura magia a Heaton Park in quello che potrebbe esser stato un vero e proprio addio della band alla città natia
Il maxischermo del concerto degli Oasis
Il maxischermo del concerto degli Oasis
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Storie di fango, pugni in faccia, labbra spaccate, sangue e svenimenti. Storie di nuvole, di pioggia, di camionette della polizia. Storie dell’infinita bellezza del trionfo della musica. Potrebbe essere l’addio della band alla natia Manchester, o forse no: fatto sta che la quinta e ultima data del reunion tour degli Oasis a Heaton Park va dritta nella leggenda.

Ed è la celebrazione di un colossale rito generazionale che ha reso la metropoli dell’Inghilterra settentrionale «il centro del mondo, per una decina di giorni», come ricorda Noel Gallagher durante il set di circa due ore e un quarto. Iniziato con Fuckin’ In The Bushes e Hello sotto un cielo plumbeo, proseguito nella pioggia (intensa, durante D’You Know What I Mean? e Stand By Me) e terminato al chiarore dei fuochi d’artificio sparati in cielo sulla coda di Champagne Supernova.

Il concerto

La scaletta è rimasta la medesima dal primo live, a Cardiff, lo scorso 4 luglio. Tanto Definitely Maybe, tanto (What’s The Story) Morning Glory?, diverse b-side, tutte le hit (Supersonic, Live Forever, Morning Glory, Don’t Look Back In Anger, Wonderwall, ma ogni brano è ultra noto). La voce di Liam Gallagher è potente, precisa e a fuoco, dopo un ventennio abbondante di (pochi) alti e (molti) bassi. Joey Waronker, scelto alla batteria per questo tour, è l’uomo scelto per la delicata missione che consiste nel rallentare di qualche punto la velocità dei brani più tirati senza che questi perdano «tiro».

Nel ritmo, il basso di Andy Bell. Noel Gallagher, Gem Archer e Paul «Bonehead» Arthurs erigono un immenso muro di chitarre. Tre giganteschi maxi-schermi bombardano occhi e cervello, trasportando il pubblico in una dimensione onirico-psichedelica. Non era uno scherzo: c’è davvero chi sviene, chi provoca e si prende un cazzotto nei denti, mentre il fango schizza fino alla ginocchia. Ma si salta, si canta, si resta quasi attoniti tra una canzone e l’altra. Ed improvvisamente ritrovi una parte di te stesso che si era assopita con gli anni. Ti ricongiungi con la tua versione adolescente.

Torni a camminare a gambe larghe con le braccia che oscillano e la schiena inarcata che ti dà tutt’altra prospettiva sul mondo. Gli occhiali da sole, nonostante la pioggia, diventano parte integrante del tua faccia come quel cappello da pescatore che ha preso polvere in un armadio per quasi 20 anni. Ma qui tutto ha un senso, sei in mezzo a un intero popolo che prova le stesse sensazioni. Torna ad ardere la fiamma della sbruffonaggine che hai assimilato dal minore dei Gallagher. Cosí, sei pronto a fluttuare sul fango misto a birra e sidro. A schivare i corpi di chi è collassato perché non ha retto il ritmo «northen» e di chi le ha già prese.

Estasi collettiva

Il palco del concerto reunion
Il palco del concerto reunion

Il crescendo rossiniano di inni generazionali e la consapevolezza di aver preso parte ad un momento storico danno vita ad un’estasi collettiva. Tutti cantano a squarciagola, tutti si abbracciano, ognuno per un attimo è Liam e per un altro Noel. Come una grande unica famiglia che si ritrova dopo anni. Lo fai anche tu per due ore di puro godimento. Sei parte del tutto. Poi ti stacchi per un attimo, accanto a te c’è un amico di lunga data a cui vent’anni fa avevi promesso di vedere una volta gli Oasis a Manchester. Avete rischiato di non farcela, per colpa loro. All’improvviso realizzate che è tutto vero, siete riusciti a vivere un sogno che sembrava destinato a rimanere nel cassetto. Scende una lacrima, ci scappa un abbraccio e sai che porterai questo momento per sempre con te. Poche parole: this is «F**king epic (cit.) and we made it».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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