Festival Tener-a-mente, Vittoriale sold-out per gli Hermanos Gutiérrez

Anfiteatro del Vittoriale tutto esaurito, perfino oltre le previsioni della vigilia, ed Hermanos Gutiérrez sugli scudi. Buona dunque la prima di Tener-a-mente 2025, con il concerto inaugurale (su quattordici complessivi) della quattordicesima edizione del festival musicale che si svolge nella casa di D’Annunzio: in tale contesto fiabesco i fratelli ecuadoriano-svizzeri hanno tenuto il primo concerto italiano della loro carriera, applauditi con costanza da un pubblico di 1500 persone alle soglie dell’entusiasmo, intrattenutesi in massa al termine dell’esibizione per accaparrarsi una maglietta o un disco. Attratte da una fama recente ma solida (e meritata), alimentata da un passaparola transoceanico dopo le ovazioni raccolte al festival californiano di Coachella.

Un’unica colonna sonora

Alejandro (chitarra, lap steel) ed Estevan (chitarra, percussioni), in pista dal 2015, sono latori di una proposta strumentale profondamente chitarristica, con fenomenali arpeggi incrociati e dall’impronta decisamente western, a definire una miscela di ipnotiche sonorità latine e tex-mex, affinate nel corso degli anni, sui palchi e attraverso una discografia che conta su una manciata di album in studio, dai quali attingono con distribuita generosità nel live. I titoli dei brani (da «Lagrimas negras» a «El bueno y el malo», passando per «Venganza», «El camino de mi alma», «Hijos del sol», «Agua roja») indicano già una direzione, anticipando sommariamente la suggestione affidata alla sola musica, che è potentemente evocativa e conduce l’ascoltatore dentro universi di celluloide, come se si trattasse di un’unica colonna sonora, compatta anche se con variazioni ritmiche, tematiche e di registro, piccoli smottamenti che alla lunga permettono ai Gutiérrez di guadagnare territori ulteriori.

Deserti e cowboy

Praterie piene di molte cose e popolate da molti personaggi: sul primo versante, deserti sterminati e aspre zone selvagge, saguari e cardones, un sole infuocato e giaguaro, pellicole risalenti con Clint Eastwood ed Eli Wallach, con Tomas Milian o Emilio Fernandez come film di David Lynch, Wim Wenders e Jim Jarmusch, surf e canyon, tequila e coltelli, condor che passano e ronzini sfiatati, sombreros e pistole; sul secondo cowboy e suonatori da tabernas, dead men e cancioneros, vagabondi e fuggitivi, donne perdute e fantasmi. Ma, in fondo, le chitarre – distorte e malinconiche, cupe e struggenti – disegnano abbozzi di affreschi che vanno poi riempiti facendo ricorso al proprio immaginario, che sia cinematografico o meno.

L'album della consacrazione

Gli Hermanos Gutiérrez eseguono anche un paio di pezzi – «Low Sun», «Until We Meet Again» – contenuti nel loro ultimo album, «Sonido Cósmico» (2024), quello della consacrazione, che integra pure elementi metafisici e ispirazioni che qualche immaginifico recensore ha definito «extraterrestri», ma che forse è più corretto inquadrare come lunari: lo hanno confezionato con la supervisione del «terzo hermano» Dan Auerbach, cantante dei Black Keys e produttore da Grammy Award, che ha allargato il ventaglio delle armonizzazioni, anche se sul palco l’abito sonoro è più essenziale, ma comunque sempre convincente.