Musica

Kenny Wayne Shepherd: «Il blues racconta la vita di chi lo suona»

Enrico Danesi
Autore di una ventina di album, con il gruppo che porta il suo nome e con The Rides, è atteso il 27 luglio al Vittoriale: «Il pop di oggi? Non ci trovo sostanza»
Kenny Wayne Shepherd - © www.giornaledibrescia.it
Kenny Wayne Shepherd - © www.giornaledibrescia.it
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Tra i vari appuntamenti estivi di «Tener-a-mente», il festival musicale del Vittoriale, ce n’è uno all’insegna di un rock-blues intrigante. Kenny Wayne Shepherd, 48 anni tra pochi giorni, sarà a Gardone Riviera domenica 27 luglio (alle 21.15; biglietti in prevendita da 43 a 60 euro + commissioni; info su anfiteatrodelvittoriale.it).

Autore di una ventina di album, con il gruppo che porta il suo nome e con The Rides, Shepherd ha da poco pubblicato la seconda parte di «Dirty On My Diamonds», concettualmente un disco doppio (ma uscito in due momenti, per ragioni di mercato) ben accolto da critica e pubblico.

Abbiamo fatto un’intervista oltreoceano con il cantante e chitarrista della Louisiana.

Kenny, è nato in Louisiana, una delle patrie del blues. È il suo genere prediletto?

Decisamente uno dei miei preferiti, anche se sono cresciuto ascoltando tanti generi diversi, come rock, southern rock e country, jazz, gospel e funk. In casa c’era sempre la musica accesa e per di più mio padre lavorava alla radio, quindi ascoltava tantissima musica che pure io ho sempre amato.

Sono anni che si dice in giro che il rock è morto, anche se per fortuna non è vero. Qual è il suo stato di salute di fronte all’offensiva di sonorità più alla moda?

Credo che qualcuno affermi ciclicamente che il rock è morto, il blues è morto, la chitarra è morta…solo per fare notizia, per dire qualcosa di sensazionale che porti il pubblico a cliccare sui contenuti che propongono. Se ci fai caso il blues ha attualmente più di cento anni e il rock lo segue a ruota, eppure c’è ancora tanta gente che li suona e li ascolta. Magari non sono più considerati generi popolari, ma credo che ci saranno sempre e che siano ancora forti. Personalmente, non sono un fan della musica pop contemporanea, non ci trovo molta sostanza ed è per questo che preferisco ascoltare musica vera come il blues e il rock.

Ha pubblicato «Dirty On My Diamonds» in due parti, anche se possiamo considerarlo un doppio album. In cosa sono differenti, i due dischi?

Il disco uno ha un approccio più contemporaneo mentre nel volume due si sentono di più le influenze del blues tradizionale. Ma credo che si completino in qualche modo, come un compendio. Sono soddisfatto del risultato del mio lavoro. La reazione del pubblico qui negli Stati Uniti è stato calorosa…

Quali erano i suoi idoli, quando ha iniziato a suonare e cantare?

Tra i miei idoli c’erano naturalmente diversi bluesmen, gente come Stevie Ray Vaughn, BB King, Albert King, Freddie King, Jimi Hendrix, Billy Gibbons, Eric Clapton. Li apprezzo tuttora: in definitiva, i miei preferiti sono gli stessi di un tempo.

Quali considera i colleghi più dotati nel suo genere, come chitarristi e come cantanti?

Mi piace tener d’occhio i giovani che emergono adesso: saranno loro a continuare il cammino del blues, a farlo evolvere. Parlo di musicisti come Marcus King, Ally Venable, Samantha Fish… Ci sono tante musiciste donne che stanno facendo un grande lavoro nel blues e tutto questo è entusiasmante. Un altro bluesman molto bravo è Kingfish Ingram (visto l’anno scorso al Vittoriale, ndr). Ce ne sono molti a dire il vero, ed è bello seguirli.

Il blues non è solo musica, è anche dare una voce al vissuto e alla realtà sociale di molte persone. Da quando ha iniziato a fare musica com’è cambiata questa realtà e qual è invece lo spirito del blues che rimane costante?

Lo spirito del blues parla della vita. Ci sono tante cose da dire sulla vita, dall’amore alle relazioni, alle lotte personali di ciascuno, fino ai problemi finanziari. Il blues canta il vivere la vita e lo sperimentarne gli alti e i bassi, superando gli ostacoli. C’è anche una parte, chiamiamola così, felice del blues, una celebrazione che ti fa venir voglia di divertirti, e c’è anche un lato sexy del blues: il blues può parlare veramente di tutto. Il mondo naturalmente è cambiato tanto dai tempi della nascita del blues ed è cambiato tanto pure da quando io ho iniziato a suonarlo, ma credo che il messaggio continui a essere quello che chi lo suona vuole trasmettere, che poi è ciò che il bluesman sta passando in quel momento nella sua vita.

Rock e blues sono parenti. Perché il rock è diventato più mainstream, e talvolta distante dal suo linguaggio originale, mentre il blues è rimasto tutto sommato fedele a sé stesso?

Il rock è nato dal blues, ma anche da ragazzi giovani che ne hanno preso le sonorità e le hanno mescolate con la loro energie giovanili e con la loro voglia di ribellione. Questo è il punto. Il blues ha un approccio più maturo, mentre il rock porta con sé questo senso di sfida tipico della gioventù, anche se i due generi sono in realtà molto vicini. Quel che i musicisti scrivono quando compongono i loro pezzi è qualcosa di molto simile, al punto che oggi abbiamo il blues-rock, genere per cui sono noto io, che fonde insieme i due generi portandoli a una vicinanza ancora maggiore.

Cosa conosce del nostro Paese?

Ho passato molto tempo in Italia, ci sono stato in vacanza anche l’anno scorso con la mia famiglia, tre settimane a Roma, in Toscana, ad Amalfi. È un paese meraviglioso: ne adoro la storia, l’arte, l’architettura e naturalmente il cibo, che è incredibile. Io e mia moglie (Hannah, ndr) ci siamo fidanzati in Italia, a Roma le ho fatto la proposta di matrimonio. Quindi l’Italia è un posto speciale per me.

E le ha portato fortuna…

Spero di sì. Finora, direi che è andato tutto bene (ride).

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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