«I personaggi di Dario Fo, così attuali al di là di tempo e spazio»

Elisabetta Nicoli
Intervista all’attore Ugo Dighero, in «Mistero Buffo» a Brescia dal 28 al 31 dicembre (con brindisi). «Affascinato dall’affabulazione»
Dighero in «Mistero buffo» - Foto Sara Ciommei
Dighero in «Mistero buffo» - Foto Sara Ciommei
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Gesù Bambino è un piccolo straniero migrante, Giovan Pietro impersona la disarmante bontà in un contesto di furbi approfittatori: sono le due figure protagoniste in «Mistero Buffo», spettacolo sempre e forse più che mai attuale a decenni di distanza dalle ideazioni di Dario Fo e Franca Rame, con modalità narrative ispirate al linguaggio degli antichi giullari. Ugo Dighero, che ne ha preso da molto tempo il testimone, porterà al Teatro Sociale per la prossima fine d’anno due vivaci monologhi: «Il primo miracolo di Gesù Bambino» e «La parpàja topola», che rispettivamente hanno esordito nel 1977 e nel 1982.

Per la cinquantaduesima Stagione del Centro teatrale bresciano, «Mistero Buffo» è atteso al Teatro di via Felice Cavallotti 20 domenica 28 dicembre alle 15.30, nei giorni 29 e 30 alle 20.30 e mercoledì 31 alle 22, con una versione speciale e brindisi finale per festeggiare l’arrivo dell’anno nuovo. I biglietti (da 11 a 29 euro per le prime tre recite e da 35 a 50 euro per il 31 dicembre) sono in vendita sui canali del Ctb.

Ugo Dighero ci ha parlato, in risposta ai nostri quesiti, dello spettacolo prodotto dal Teatro Nazionale di Genova.

Come si colloca questa proposta nel clima natalizio e di auspici per il nuovo anno?

Si presta in modo particolare il tema, per le condizioni generali del Paese e del mondo, ricordandoci i valori in questo momento di decadenza. È una caratteristica di Dario Fo e dei grandi autori, essere contemporanei al di là del tempo, in qualsiasi epoca e situazione geografica. In questo mondo delirante, concentrato sulle apparenze e sull’avere più che sull’essere, in grandissima difficoltà nell’individuare i valori che contano, queste due storie mettono i puntini sulle cose importanti.

Chi è il Gesù del racconto?

Gesù è un bambino straniero in cerca di amici: la storia presa dai Vangeli apocrifi ci mette in comunicazione con persone sacre in modo nuovo; ci ricorda che Gesù è Dio, ma è anche un ragazzino.

E il secondo racconto?

Il protagonista del secondo monologo fa pensare a Tom Hanks in «Forrest Gump»: è una persona con pochi strumenti intellettuali, che non ha «sotto-testi» e ci induce al confronto su un piano di verità.

Come si è avvicinato al teatro di narrazione di Dario Fo?

Ho fatto le mie prime prove da studente: allievo della scuola di teatro, sono stato affascinato dalla recitazione affabulatoria di questo attore, capace di creare atmosfere, luoghi, perfino profumi. Ormai recito questi testi da più di trentacinque anni e posso constatare che non sono brani datati, ma testi universali, dotati del grande grimaldello dell’ironia: la comicità è uno strumento straordinario. Altri testi sono talmente pieni di significati da richiedere una grande energia, queste due storie trovo che siano perfette insieme.

Cambia qualcosa nella scenografia?

Avevo provato a inserire giochi di luce e accorgimenti scenografici, ma è come quando si legge un libro e poi si vede il film: non si è soddisfatti perché ormai nella testo ognuno ha creato la sua storia. Con il meccanismo recitativo affabulatorio è come se si disegnasse la scena, che poi lo spettatore colora. Ho portato la recitazione in qualsiasi spazio e ho potuto constatare che tutto sta nella narrazione dell’attore e nella partecipazione dello spettatore.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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