Cultura

Mina Mezzadri, un'eredità di ricerca e innovazione

A dieci anni dalla scomparsa, un ricordo della regista bresciana, a cui il Ctb intende rendere onore
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Dieci anni fa, nella sua Brescia, si spegneva Mina Mezzadri, pioniera della regia teatrale, anima della Compagnia della Loggetta, dalla cui esperienza innovativa ha avuto origine il Centro Teatrale Bresciano. Il 19 agosto 2008 se ne andava una donna di rara intelligenza e di acuto spirito, che sapeva essere dolcissima ma anche pungente, di mentalità aperta ma anche fortemente radicata nelle sue convinzioni. Renato Borsoni nella plaquette che le dedicò ricorda la sua «libertà spiazzante» e la sua inflessibilità come regista.

Una «personalità», cresciuta negli anni in cui i migliori guardavano a Visconti e a Strehler, una pioniera della regia al femminile, che a Brescia - e non solo, dato che insegnò in varie città italiane - ha fatto scuola in molti modi. Sarebbe troppo facile, in questo anniversario, auspicare iniziative dedicate all’opera della geniale regista, che partecipò anche alla Biennale di Venezia ed ebbe vari riconoscimenti nazionali. In realtà, il Teatro Santa Chiara dove l’esperienza della Loggetta ha vissuto alcuni dei suoi momenti più esaltanti, da alcuni anni porta il suo nome e si chiama «Santa Chiara - Mina Mezzadri». E il Centro Teatrale Bresciano sta preparando una serie di iniziative dedicate alla regista: «Per me l’importante non è solo fare memoria di ciò che Mina Mezzadri è stata nel mondo del teatro e per Brescia - dichiara il direttore del Ctb Gian Mario Bandera -, ma valorizzare il più possibile il suo operato, perché le sue idee possano continuare a vivere e lei sia sempre presente nel presente». In concreto? Il direttore preferisce non anticipare nel dettaglio le iniziative che il Ctb varerà dall’autunno in avanti, però non si sottrae alla domanda: «Stiamo pensando alla pubblicazione di un libro e vogliamo rendere il Teatro Santa Chiara - Mezzadri un luogo che sia manifestamente, evidentemente intitolato a lei, e nel quale le sue idee possano continuare ad essere vive».

Non si è spenta la memoria di questa artista originalissima, rigorosa, perfino bizzarra come lo sono le persone che all’intelligenza mischiano un pizzico di follia, inscritta però in una solida base culturale di stampo umanistico («La Loggetta era un piccolo angolo di vitalità, di partecipazione totale e generosa, di amore all’uomo e alla cultura», dichiarò al nostro Giornale nel 1992). Oltre a una serie di spettacoli che hanno fatto la storia del teatro e inventato il genere del «teatro documento» (un filone che giunge fino all’odierno teatro di narrazione), Mina Mezzadri ci lascia anche alcuni testi teatrali, soprattutto l’ultimo, «L’inverno di Diderot», che ebbe una rappresentazione, da lei diretta, in forma di lettura teatrale, ma che attirò anche l’attenzione di importanti interpreti a livello nazionale.

In quelle pagine freschissime, scritte a più di 80 anni, la Mezzadri riafferma con forza il «paradosso di Diderot» (contro l’immedesimazione dell’attore nel personaggio) e a favore dello «straniamento» poi codificato da Brecht, e - da cattolica convinta e praticante - critica il nostro tempo, «senza fedi né ideali, dove tutto muta senza ragione e un pensiero, un sentimento, si consumano in un giorno». Da rileggere, da - chissà - rivedere in scena, da rimeditare per guardare al futuro, come lei ha sempre fatto per tutta la sua esistenza, e fino all’ultimo giorno.

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