Maiolini compie 60 anni con nuove hit: «Mio figlio lavora a un dj-avatar»

Giacomo Maiolini fa... 60! Accadrà domani, quando il fondatore e deus ex machina dell’etichetta Time Records spegnerà candeline in cifra tonda, prima di concedersi una festa in musica che, nella serata di venerdì, farà coincidere a Brescia artisti (e amici) del calibro di Bob Sinclar, Claude, Linus, Albertino e tanti altri.
Il traguardo delle sei decadi ci spinge ad approfondire la traiettoria del discografico bresciano che - dall’alto di oltre 100 milioni di dischi venduti, 5 miliardi di streaming, 2 Grammy Awards e innumerevoli altri dischi di vari metalli pregiati conquistati con i suoi artisti - è stabilmente ai vertici della categoria in Italia. Anche se lui ama poco i consuntivi.
Giacomo, è tempo di bilanci?
Potrebbe anche esserlo, ma quello del bilancio è un concetto che mi risulta estraneo. Semmai è la nuova tappa di un lungo viaggio che ha dell’incredibile, affrontato con una passione grandissima, che qualcuno definirebbe forse maniacale. Un viaggio con molte salite, qualche fantastica discesa e pure parecchie coincidenze, come per esempio quella che ha cambiato il mio destino...
Che doveva essere in banca, vero? Racconta...
È capitato che la mia vecchia sveglia a molla non abbia suonato, proprio il giorno in cui avevo un colloquio per l’assunzione alla Banca Agricola Mantovana, un contatto che mi aveva procurato una prof alla fine degli studi di Ragioneria. M i svegliai tardi, partii lo stesso pur capendo che non sarei mai arrivato in orario, ma dopo dieci minuti decisi di tornare a casa.
Il mondo ha perso un bancario e ha guadagnato un discografico dal fiuto infallibile, che mastica «pane e musica» da sempre, per quanto non suoni alcuno strumento e sebbene non abbia mai fatto il deejay...
Questa del non suonare e del non essere mai stato in consolle è una cosa che sconvolge tutti, ma è un dato di fatto. La dote che mi riconoscono (e che mi riconosco) è l’intuito per ciò che può funzionare a livello musicale, una sorta di tocco magico che è stato ed è fondamentale nel mio lavoro. Pensa che qualcuno, di recente, mi ha incredibilmente proposto una serie tv proprio a partire da questo elemento.
Il «magic touch» è il motivo per cui le maggiori società discografiche mondiali ti hanno cercato a più riprese. Qual è, invece, la ragione per cui tu hai sempre rifiutato le proposte delle major?
Mancherebbe la libertà. Per me stesso (e su me stesso) voglio decidere da solo, anche a costo di rinunciare a offerte economicamente favolose. Collaborazioni sì, ma senza vincoli.
Al tuo fianco, in Time, c’è ora tuo figlio Lorenzo. C’è in vista un passaggio di consegne?
Lorenzo è entrato in azienda, e ora è un collaboratore specialissimo. Portatore di una prospettiva diversa dalla mia, un approccio che gli deriva dagli studi economico-manageriali che ha fatto. La sua presenza ha aperto tutta una serie di nuovi orizzonti, anche in settori complessi come quello dell’intelligenza artificiale, tanto che lavora a un dj-avatar. Ma si dà da fare, con profitto, pure sul piano della produzione musicale: segue progetti legati a una pop-dance con basi e cantata in italiano, molto intrigante.
Lungi da te l’idea della pensione...
Sono sempre sul pezzo, ci mancherebbe! In questo momento c’è un artista come Claude da valorizzare al massimo (la sua «Ladada» è al primo posto nella classifica di Discovery Italia, ndr), e poi esce il nuovo singolo di Bob Sinclar, che evoca atmosfere potentemente anni ’70. Ma guardo anche a progetti creativi in settori differenti. Come direttore artistico ho infatti condiviso un’avventura con un giovane e formidabile artista milanese, Pietro Terzini: insieme firmiamo magliette e felpe per un nuovo marchio (Drhope, ndr), presto disponibili in un gruppo di negozi italiani ed esteri, compreso un noto atelier di Brescia.
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