Sangue nelle Langhe e un tè nel deserto: cosa leggere a novembre

Sangue nelle Langhe e un tè nel deserto, per riassumerla ai minimi termini. Ma nel menù di questo nostro bookclub di novembre, redattrici e redattori si sono sbizzarriti, spaziando dai grandi classici del passato, da quello già citato di Paul Bowles al capolavoro di Baricco «Seta», a novità editoriali come l’intensissimo «My Friends» di Fredrick Backman, al momento disponibile solo in lingua inglese, e «La controra del Barolo» di Orso Tosco, che prova a consacrare un nuovo mitologico investigatore nel già ricco panorama giallistico italiano.
«La controra del Barolo»
Di Orso Tosco
(Rizzoli, pp. 256, 17 euro)

C’è un nuovo sceriffo a Mondovì. Anzi, meglio dire nelle Langhe. E’ alto, decisamente fuori forma, ama il mare (ma se ne è dovuto allontanare), vive un amore impossibile, mangia e beve senza ritegno. Ah, dimenticavo: lo chiamano il pinguino.
Dopo il felice esordio con «L’ultimo pinguino delle Langhe», Orso Tosco rimette in pista il commissario Gualtiero Bova, chiamato stavolta a indagare sulla scomparsa di un cadavere da un cimitero. Ma «La controra del Barolo», in realtà, si lega al romanzo precedente perché ci sono dei demoni di provincia assetati di sangue e di potere che continuano a sbarrare la strada a Bova. Che, aiutato da una squadra decisamente improbabile (giusto per restare in tema di gialli/noir sono agenti talmente scalcagnati e ricchi di nevrosi da far sembrare i manziniani Deruta e D’Intino due piccoli Maigret), dipana un altro pezzo di questa matassa ingarbugliata che avviluppa una terra placida e ricca. Di bellezze come di brutale cattiveria.
Sullo sfondo, una madre fuori dagli schemi, la bassotta Gilda-gildina sempre prodiga di affetto. E una donna, Ava, anelito dell’ennesimo amore impossibile che popola pagine e pagine di letteratura.
Scorbutico, ruvido, abitudinario e «illuminato» da una microdose settimanale di Lsd, Bova ti fa accomodare con goffa gentilezza alla sua tavola e ti offre dosi generose della sua tenacia, del suo cinismo. E della sua tragica umanità. E riesce a vincere. Un successo parziale, certo, ma che cosa volete chiedere di più a un pinguino?
Rosario Rampulla, vicecaporedattore
«My Friends»
Di Fredrick Backman
(Simon & Schuster Ltd, 2025, 19,50 euro)

C’è un storia dentro il quadro. E ce n’è un’altra intorno. La prima riguarda tre amici - anzi quattro - che vivono l’estate dei loro 15 anni come fosse l’ultima, consumando pomeriggi pigri su un pontile a strapiombo sull’acqua e cercando al contempo di sfuggire a contesti familiari brutali. A occhio nudo nemmeno li vedi, ma quel pomeriggio perfetto, nel mezzo della loro giovinezza un po’ balorda e un po’ poetica, è cristallizzato in un dipinto diventato famosissimo e destinato ad essere battuto all’asta per un cifra da capogiro.
Solo che l’opera d’arte finisce nelle mani di Luisa, che di anni ne ha 18 e che fa a pugni con la vita da quando è una bambina. È lei la protagonista della storia intorno al quadro ed è lei la depositaria delle vicende che riguardano quei ragazzini che ci sono ritratti dentro. In un gioco di scatole cinesi e con una costruzione quasi teatrale il fenomeno svedese Fredrik Backman confeziona un altro piccolo capolavoro, «My Friends», al momento disponibile solo in lingua inglese. Ritornato alla letteratura dopo una crisi identitaria raccontata addirittura sui social, Backman non ha perso il suo piglio e la sua capacità di associare profondità di pensiero a una prosa brillantemente comica e di sfoderare una vis poetica profondissima ma allo stesso abbordabile senza troppi sforzi.
Tornano i tempi a cari a Backman come l’adolescenza, l’amicizia e i rapporti familiari. Il mondo dell’arte e il genio creativo sono felici novità che forniscono spunti nuovi in un romanzo che si porta dietro uno speciale tipo di malinconia, come i giorni di mezza estate, quando le giornate si accorciano appena dopo Ferragosto. Come quando ci si rende conto che i 15 anni, come gli amici speciali, non torneranno una seconda volta.
Ilaria Rossi, redattrice Cronaca
«Una madre senza»
Di Stefania Micheli
(Edizioni Falsopiano, 2024, 18 euro)

Una saga famigliare, profonda e oscura quanto scendere in un pozzo, e una città immobile, ferma agli anni Settanta, come in una goccia d’ambra. La Brescia che racconta Stefania Micheli nel libro «Una madre senza» (Edizioni Falsopiano) è esattamente come l’autrice la ricorda, negli occhi e nella mente della bimba che era, prima di trasferirsi con un ramo della famiglia a Roma. La vicenda invece è la sua, quella della sua famiglia, pur se il romanzo ammanta e cela e costruisce una realtà diversa da quella della cronaca, la storia che narra è quella di Piera e di sua figlia Marinella che inizia nel 1954 e finisce nel 1973.
L’autrice affida la narrazione alla voce di due donne, figlia e mamma, che si alternano in spazi e tempi diversi, tra Brescia e Roma appunto. La storia principale è quella di Piera, una donna libera ed egocentrica, «la più bella che i ragazzi di Brescia abbiano mai visto», con un marito che la chiude in cantina per gelosia e dispetto. Lei sta zitta, ma non si sottomette e lascia la città con un giovane amante, abbandonando tre figli piccoli a un padre severo e incapace di dimostrare affetto, per cominciare nuova vita nella capitale. Un modello di donna, quello di Piera, che la società oggi conosce e approva, mentre negli anni Cinquanta era assai osteggiata, così com’è arduo tuttora accettare che una madre possa decidere di non sacrificarsi per i figli, definendo la sua identità nel lavoro e nelle relazioni. Nel proseguo della vicenda, Piera abbandona tre bambini e Marinella, la figlia maggiore, diventa di fatto un'antagonista traumatizzata, bersaglio inconsapevole della madre.
Pagine che poi si sviluppano come rami d’edera, svelando desideri e tormenti, sogni e incubi, amori e violenza, giungendo a un finale di cui non riveliamo nulla, ma che non tradisce le tinte niente affatto pastello che precedono l’epilogo. Un romanzo autobiografico, in cui per stessa ammissione dell’autrice i personaggi sono realmente esistiti, ma molto, moltissimo è stato inventato.
La Brescia che vi traspare è una città di provincia quale era allora, chiusa, quasi gretta, ben diversa da quella di oggi, almeno ai nostri occhi, di viaggiatori interessati o, meglio, di cittadini d’adozione. Per i bresciani un’occasione dunque di guardarsi allo specchio e magari riconoscersi, autenticamente, anche o proprio attraverso le differenze. Per tutti gli altri, un viaggio intimo, nelle pieghe di una saga famigliare niente affatto banale, con un nitore adamantino nei personaggi tratteggiati e la realizzazione, sempre stupefacente, di come la realtà superi di gran lunga la fantasia, poiché «a tavolino» era azzardato pensare di poter sviluppare una trama quale quella che Stefania Micheli ha tessuto, attingendo alla vita, ai ricordi.
Giorgio Bardaglio, vicedirettore
«Il gioco dei giochi»
Di Paolo Marabini
(Bolis Edizioni, 12 euro)

«Il Gioco dei Giochi cronache semiserie di un inviato olimpico di Paolo Marabini, giornalista inviato della Gazzetta dello sport, è un simpatico libretto che racconta per aneddoti l’odissea reale di un inviato alle Olimpiadi invernali di Pechino del 2022, svelando il dietro le quinte non sempre idilliaco di quello che viene considerato il mestiere più bello del mondo.
I Giochi olimpici sono naturalmente una cosa seria, ma possono essere anche un gioco. E se ti trovi dentro, specialmente da inviato, sembra di essere in un parco divertimenti, dove tutto è magico e gli inevitabili contrattempi vengono vissuti con una buona dose di filosofia, un sano spirito di adattamento e un tocco di medicamentosa ironia. Difficoltà che nella Cina post Covid si sono moltiplicate e hanno reso l’Olimpiade una corsa ad ostacoli anche per chi era al seguito e doveva raccontarle.
Paolo Venturini, redattore Sport
«Il tè nel deserto»
di Paul Bowles
(Universale Economica Feltrinelli, pp.272, 10,20 euro)

Quando in là ti devi spingere per trovare te stesso? Fin dove sei disposto ad arrivare se sei un milionario americano alla fine degli anni ’40? L’Africa, ed in particolare il deserto del Sahara, è la risposta che ha provato a dare Paul Bowles, scrittore newyorkese che assieme alla moglie Jane Auer ha ispirato tanti dei protagonisti della Beat Generation. Proprio lui che ha fatto della sua vita un eterno vagare lontano dagli States per esplorare Europa ed Africa creandosi una libertà di pensiero insolita per l’epoca e invidiata da molti colleghi.
Le avventure di tre americani ricchi ed annoiati che partono da Tangeri per raggiungere il cuore polveroso dell’Africa ti proiettano in una realtà veramente distante dall’attualità, ma in grado di trascinarti in meandri della filosofia sulla vita che non pensavi di incontrare. Il titolo, come spesso capita, è stato mal trasposto dalla lingua originale (in inglese recita «The sheltering sky»), ma la scelta fatta all’epoca per la prima pubblicazione dall’editore italiano è risultata più azzeccata del previsto: il tè nel deserto, una classica parabola africana narrata anche all’interno del libro, riesce a racchiudere in poche righe l’essenza della storia di Bowles.
Jacopo Bianchi, redattore Teletutto
«Seta»
Di Alessandro Baricco
(Giangiacomo Feltrinelli Editore, 2009, 108 pagine, 9,50 euro)

In una parola, «Seta» di Alessandro Baricco è sensuale. I profumi di gelso, i viaggi via mare, le parole non dette, gli sguardi rubati, la morbidezza dei tessuti, la passione: tutto in questo romanzo scorre quasi come un soffio, con una leggerezza tangibile.
Siamo a fine Ottocento e il protagonista di questo romanzo è Hervé Joncour, un giovane mercante di seta che vive in Francia, nel piccolo borgo di Lavilledieu, insieme alla moglie Hélène. Il contesto è quello di un’Europa colpita da un’epidemia che ha compromesso il mercato della seta: motivo per cui il giovane – spinto da Baldabiou, l’uomo che lo ha avviato a questo mestiere – è costretto a partire per il Giappone, dove si trovano i bachi da seta più pregiati.
Proprio qui incontra Hara Kei, il signore del villaggio dove risiede: un uomo potente e misterioso. Ma non è lui a turbare le sue emozioni: lo è una giovane donna, vestita di seta, dal fascino indescrivibile. Hervé la vede ogni volta che parla con Kei; lei si trova sempre sdraiata sulle sue gambe. Gli occhi della ragazza cercano e puntano quelli di Hervé. I due non si parlano, ma si guardano in un modo che neanche il giovane riesce a spiegarsi. Tra di loro scorrono attese, desideri, parole non dette. Attraverso gli sguardi i loro corpi sembrano toccarsi e le labbra sfiorarsi. La vita di Hervé sembra così sospesa tra un passato che lo attende in Francia e il sogno, misterioso e intrigante, dell’ignoto.
Seta racconta il tema del viaggio, fisico – dall’Europa al Giappone –, ma soprattutto interiore: quello del desiderio, dell’attesa e della nostalgia per ciò che non si è potuto vivere fino in fondo. Una lettura piacevole, delicata e intensa che accarezza come un velo di seta. In una parola: sensuale.
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