Cultura

«La Rosa di Bagdad», da Brescia la risposta italiana a Walt Disney

Francesco Fredi
Il maestro statunitense lodò il lavoro di Anton Gino Domeneghini, ora al centro d’una mostra alla Biennale di Rimini
Il manifesto per il cartoon «La rosa di Bagdad» - © www.giornaledibrescia.it
Il manifesto per il cartoon «La rosa di Bagdad» - © www.giornaledibrescia.it
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Brilla anche creatività bresciana nella 4ª Biennale del Disegno a Rimini - intitolata «Ritorno al viaggio. Dal Grand Tour alla fantascienza» - da oggi al 28 luglio, prestigiosa vetrina curata da Massimo Pulini sul disegnare nelle sue varie declinazioni, con 12 mostre, mille opere e tanti eventi.

La brescianità è espressa dalla mostra di una trentina di disegni originali del primo cartone animato italiano - «La rosa di Bagdad», 1949 - scritto e diretto dal darfense Anton Gino Domeneghini (1897- 1966) e prodotto a Bornato durante la Seconda Guerra Mondiale; e dai pastelli del taccuino di viaggio del disegnatore contemporaneo Lorenzo Mattotti.

In mostra

De «La rosa di Bagdad» è esposta a Palazzo Fulgor Fellini Museum una selezione delle migliaia di originali cartacei che furono preparati e utilizzati nella straordinaria produzione (oltre 120mila sequenze a «passo 1») di quello che sarebbe poi stato il primo cartoon della Storia del cinema italiano.

Sono disegni, rodovetri (fogli trasparenti in acetato di cellulosa su cui il disegno veniva stampato e dipinto per essere fonte del singolo fotogramma che andava poi a formare la sequenza d'immagini in movimento) e fondali dipinti. Doppiamente preziosi e rari poiché «La rosa di Bagdad» fu anche il primo film italiano interamente girato in Technicolor. Lo si può vedere nelle sale del Fulgor dove sarà proiettato, dopo essere stato oggetto del restauro da parte di Massimo Becattini che alla genesi de «La rosa di Bagdad» - presentato e premiato nella sezione «film per ragazzi» alla Mostra del cinema di Venezia del 1949 - ha dedicato anche il documentario «Una rosa di guerra» (2009).

Lo storico cartone - che meritò il lusinghiero plauso di Walt Disney - narra della principessa Zeila, nipote del califfo di Bagdad e promessa sposa, e delle trame che il bieco sceicco Jafa organizza per accaparrarsi la sua mano. A sventarle sarà Amin, giovane maestro di musica di Zeila con la quale infine convolerà a giuste nozze.

Soggetto, sceneggiatura (con Enrico D’Angelo e Giulio De Caro) e regia furono frutto della fantasia e impegno anche produttivo di Anton Gino Domeneghini, nato a Darfo Boario Terme il 30 aprile 1897, fin lì valente pubblicitario, che entusiasmato dal disneyano «Biancaneve e i sette nani» (1937), pensò quest'ambizioso progetto cinematografico.

Il bombardamento subìto nel 1942 a Milano dalla sua agenzia, divenuta per l’occasione IMA Film, lo spinse a trasferire la lavorazione in Franciacorta, a Bornato: a Villa Fè d'Ostiani e poi a Villa Secco d'Aragona dove i disegnatori - fra cui i noti Libico Maraja, Gildo Gusmaroli e Guido Zamperoni - produssero i materiali destinati a diventare, prima nella sede inglese della Technicolor, poi a Roma per il doppiaggio alla Cdc (nella versione inglese sarà di Julie Andrews quella di Zeila), il cartoon di un’ora e 16’.

Mattotti

Quanto a Lorenzo Mattotti, disegni dal suo libro «Viaggio nelle città» (2020) sono nelle teche del Museo della Città «L. Tonini» nella mostra «I migliori viaggi della nostra vita. Disegni e storie di avvistamenti, rotte e transiti»: ricordi su carta, ceramica e video di 15 autori che hanno fissato graficamente frammenti della loro vita o d'un viaggio.

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