«La mia vita con Moira Orfei adesso è diventata un libro»

Era il 15 novembre 2015. Moira Orfei salutava il mondo nell’ultimo giorno di repliche bresciane del suo Circo. Nell’area spettacoli viaggianti di San Polo, il suo carrozzone, l’amatissima casa mobile in cui aveva voluto rimanere sempre, aveva accolto il suo ultimo respiro. Una morte inattesa, benché le condizioni dell’artista negli ultimi tempi non fossero ottimali. Moira avrebbe compiuto 84 anni il successivo 21 dicembre.
Un giorno indimenticabile per molti, e in particolare per Luca Alghisi, bresciano, con una lunga esperienza di lavoro nel Circo di Moira, ma soprattutto legato a lei, e lei a lui, da un affetto filiale. Alghisi ha scritto un libro dal titolo «Come gli equilibristi. La mia vita con Moira» (Sperling & Kupfer, 208 pp. 16,90 euro). Lo abbiamo intervistato.
Come nasce questo libro? Il libro parla della mia vita, di cui Moira è tanta parte: l’incontro con lei mi ha cambiato la vita. Sono nato in Val Trompia, vivevo in un contesto molto semplice, tranquillo. Davanti a casa mia c’era un terreno, dove arrivavano le giostre e piccoli circhi di paese. Ero un bambino molto introverso, passavo ore nel giardino di casa, mentre gli altri ragazzini andavano a giocare, o all’oratorio. Quello che catturava la mia attenzione e mi portava a varcare la soglia del cancello era quando vedevo arrivare i camion colorati del circo o del Luna Park. Divenni amico in particolare di una famiglia di giostrai, giocavo con i loro bambini, e della famiglia del Circo Sterza. Il circo era una pagina esotica che si apriva in in una vallata dedita al lavoro, austera.
Non era intimidito nell’avvicinare le persone del circo? La mia grande timidezza era sconfitta dalla curiosità. Quei colori, quelle bandierine, portavano divertimento, allegria. La prima volta che mio padre mi portò al circo, mi salì una febbre altissima. Lo racconto nel libro. Il circo per me era una visione. Quando mi svegliavo e dalla finestra vedevo che il tendone non c’era più, per me era un dispiacere.
Come incontrò Moira Orfei? Da adolescente espressi il desiderio di lavorare in un circo. I proprietari dei circhi piccoli mi consigliarono di rivolgermi ai grandi circhi. A 14 anni, scrissi una lettera a Moira Orfei, dopo averla sentita parlare in tv. Era il febbraio del 1984. Moira mi rispose e iniziammo uno scambio epistolare. Qualche anno dopo venne a Brescia e così la incontrai. Mi disse di finire gli studi da ragioniere: a 18 anni avrebbe parlato lei con i miei genitori e avrei potuto lavorare nel suo circo, se volevo. Mi diplomai e subito raggiunsi il Circo di Moira a Lecce. Inizia così una lunga esperienza professionale, che - con qualche interruzione per inseguire altri obiettivi lavorativi e per conoscere il mondo anche fuori dal circo - durerà fino al 2017, quando il Circo Moira Orfei, dopo la morte di Moira e del marito Walter Nones, chiuderà un ciclo.
Chi è stata Moira per lei? Senza togliere nulla alla mia famiglia, è stata la persona che mi ha formato. Mi allontanai da un malessere che vivevo in famiglia, e lei mi accolse. Non sono entrato al Circo Orfei come un dipendente, ma come uno di famiglia. Dopo ogni spettacolo, Moira metteva su il latte per me, mi offriva i miei biscotti preferiti. Se avevo la febbre, mi urlava perché non prendevo la Tachipirina. Aveva per me premure materne. Ho ricevuto da lei tanto affetto. Ed ero molto bravo a farla sorridere. Lei è stato vicino a Moira fino all’ultimo... Quando si riceve così tanto affetto, è giusto ricambiare. Nel Circo di Moira Orfei - e devo ringraziare anche la sua famiglia - non mi sono mai sentito un estraneo. Loro hanno abbattuto molte barriere, mi hanno veramente accolto. Per me, poter stare vicino a Moira, anche negli ultimi anni che non sono stati facili, è stato un grande dono. Per questo ho voluto starle accanto fino alla fine, che è avvenuta proprio a Brescia, dove ci eravamo incontrati per la prima volta. Come se quel 15 novembre di cinque anni fa, un cerchio per noi si fosse chiuso.
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