Jacopo Veneziani al Borsoni: «Dall’arte urbana all’opera di Tuttofuoco»

Il Teatro Borsoni spegne la sua prima candelina e festeggia i successi di una stagione inaugurale brillante con una giornata di eventi gratuiti e un dono al quartiere di via Milano. Domani, venerdì 19 settembre, verrà infatti svelata l’opera vincitrice della call «Life Art al Teatro Borsoni. Energia creativa per Brescia. La Tua Città Europea», promossa dal Ctb con la curatela di Valentina Ciarallo.
Si tratta di «Ex-Stasis», opera del milanese Patrick Tuttofuoco. Ad accompagnare l’artista e le istituzioni nel racconto di questa installazione destinata a diventare patrimonio permanente del quartiere, alle ore 20 sarà Jacopo Veneziani, giovane storico dell’arte e divulgatore tra i più seguiti in Italia, che – insieme al compositore Gabriele Rossi – presenterà lo spettacolo «Ex-Stasis. Quando l’arte incontra la vita» (ingresso gratuito su prenotazione fino ad esaurimento posti), un viaggio tra parola e musica per riflettere sul ruolo dell’arte nello spazio pubblico. Lo abbiamo incontrato per parlare del potere trasformativo che l’arte può avere nelle nostre città.

Jacopo, cosa vedremo in questo spettacolo?
Partiremo dalla domanda che può sorgere spontanea guardando le sculture che popolano le nostre città: cosa ci fai qui? Che cosa accade quando l’arte esce dai luoghi a cui siamo abituati – gallerie e musei – ed entra invece negli spazi che viviamo ogni giorno, come piazze e strade? L’incontro sarà un ampio excursus, dagli anni Settanta fino ad oggi, attraverso esempi di dialogo tra arte e spazi urbani in Italia. Un percorso utile per comprendere l’albero genealogico che ha portato anche alla scultura di Tuttofuoco.

E come cambia il nostro sguardo sull’arte fuori dai contesti istituzionali?
Quando questo accade succedono davvero tante cose. Succede per esempio che un luogo a cui siamo abituati a pensare in un certo modo, ci appaia diverso. L’arte sorprende, meraviglia e inietta creatività in uno spazio che non immaginavamo potesse stupirci. Se poi rallentiamo in passo e proviamo ad ascoltare il messaggio dell’artista, scopriamo che ci sta parlando di noi, del nostro modo di vivere. E pi c’è il livello della denuncia: pensiamo, ad esempio, alla street art, che spesso critica i modi consolidati in cui viviamo.
Interessante, cosa succede quando l’arte pubblica suscita polemica?
È sempre positivo! L’arte ha la capacità di alimentare dibattiti e riflessioni. Pensiamo alle opere di arte pubblica a Napoli, dall’«Arlecchino» di Gaetano Pesce alla «Venere» di Pistoletto data alle fiamme nel 2023. Creare dei piccoli terremoti concettuali nelle persone è un antidoto all’indifferenza della città.
A Brescia l’opera «Ex Statis» sorge in un quartiere in profonda trasformazione. Quanto conta il contesto urbano nel valore di un’opera d’arte pubblica?
Conta tantissimo! Deve sempre esserci una sorta di dialogo tra l’opera e il luogo in cui è collocata. L’arte contribuisce a ridefinire l’identità di un luogo, soprattutto quando il quartiere si trova ad avere una sorta di doppia vita: un passato diverso dal presente. L’arte può fare da ponte tra le due identità e contribuire alla costruzione della nuova.
Qual è l’opera che secondo lei ha cambiato più profondamente il modo di guardare a una città?
Direi assolutamente il «Grande Cretto» di Burri a Gibellina. Pensiamoci: ciò che non esisteva più grazie all’arte pubblica ha cominciato ad esistere nuovamente, creando nuove prospettive.
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