Il mistero della chiesa dei Miracoli

È talmente affascinante da stordire quasi nella sua maestosa ed elegante bellezza. Ma la facciata della chiesa di Santa Maria dei Miracoli non è soltanto una delle testimonianze più illustri del Rinascimento bresciano, se non la più illustre. È molto di più, perché quell’insieme di mostri, bestie spaventose e segni religiosi a noi più familiari interrogano da secoli sul loro significato. Un significato che a oltre cinquecento anni dalla sua costruzione è andato completamente perso. Per svelare il mistero, di quella che non poteva essere una suggestione meramente decorativa, serviva un mix tra vari saperi: storico, artistico, teologico, spirituale.
Monsignor Ivo Panteghini a queste indubbie competenze ha aggiunto una vivace curiosità, il tutto arricchito da quella compassata ironia tipica delle persone che sanno dare il giusto peso alle cose della vita. E così, «costretto» dal suo servizio pastorale alla Parrocchia dei Santi Nazaro e Celso a transitare quotidianamente lungo corso Martiri della libertà, ecco la sfida che si è dato: scoprire il messaggio scolpito e nascosto nella facciata dei Miracoli.
Il libro
Il risultato delle sue osservazioni (e successive profonde riflessioni e meditazioni) è un libro godibilissimo: «Il bestiario dei Miracoli. Il portico battesimale», edizioni Clarense. Una scrittura coltissima è resa alla portata di tutti grazie al predetto umorismo del sacerdote. «Sono sicuro di essere stato per qualche tempo un’attrazione turistica per i bresciani che transitavano lungo corso Martiri della libertà - scrive nella premessa -. Molti di loro si meravigliavano nel vedermi aggrappato all’inferriata che chiude la facciata di Santa Maria dei Miracoli, intento a scrutarne la complessa e affascinante decorazione. Qualcuno, certo, si sarà interrogato sullo stato della mia salute mentale. Altri avranno pensato che fossi raccolto in una specie di mistica preghiera, che m’isolava dal resto del mondo».
Mons. Panteghini si è quindi incamminato lungo la strada di «un’interpretazione tradizionale, tracciata nel solco dell’emblematica classica e medievale, sperando di evitare, per quanto possibile, il cosiddetto errore della pareidolia, ovvero l’inconscia e istintiva tendenza a dare senso, suggestionati dalla cultura o dalla fantasia personali, ad immagini che significano tutt’altro».
Il sacerdote racconta di essersi approcciato a figure e simboli della chiesa dei Miracoli come se stesse leggendo dei geroglifici, «geroglifici che non vanno letti come parole ma che esprimono concetti ben chiari» precisa. La chiave per decodificare la complessa e variegata simbologia monsignor Ivo l’ha trovata nella formella della verginità cristiana. Ed eccolo il senso di tutto: il filo conduttore dell’intero ciclo scultoreo è il confronto tra mondo pagano e cristiano.
Un breve passaggio, nel quale analizza due pannelli, denota la precisione analitica di mons. Panteghini e del suo percorso investigativo/artistico: «Sulla sinistra sta un rapace ad ali spiegate, simbolo da una parte dell’intero universo religioso precristiano, e dall’altra segno dell’opposizione violenta e sanguinaria dell’impero dei Cesari al fiorire del Regno di Dio. L’aquila è sistemata tra due fiori d’acanto, in fioritura avanzata, ormai prossimi all’appassimento. Di fronte viene ripetuto il medesimo schema, ma al centro vi sta la colomba, che qui ricapitola emblematicamente tutti i valori cristiani. A un’attenta osservazione, l’acanto che la inquadra ha appena emesso i primi bocci. Fine del mondo degli dei falsi e bugiardi, inizio di un altro all’insegna della verità su Dio e sull’uomo».
Lo studio
Il viaggio mistico di mons. Panteghini attraverso simboli e immagini della chiesa dei Miracoli è ulteriormente arricchito da uno studio/riflessione su «Brescia, i bresciani e la Madonna», la conclusione: la Madonna non è mai stata in città. Ecco il testo.
«Se percorriamo la storia devozionale mariana dei Bresciani, una cosa ci pare assodata: la Madonna non è mai stata a Brescia; nemmeno quando i Bresciani hanno progressivamente allargato le proprie mura fino a creare quella cinta fortificata, ampia e solida, che ha preso il nome di Mura venete. La Madonna è stata ad Adro, è passata per Rezzato, si è spinta fino a Bagnolo, è arrivata in Valsabbia nei pressi di Auro, si è arrampicata sugli impervi e rocciosi spuntoni di Provaglio d’Iseo e di Paitone, ha compiuto un pellegrinaggio in Valcamonica, passando per Sonico e giungendo fino a Galleno di Corteno, ma non ha mai messo piede a Brescia.
Certo attorno al 1522 ha dato segni di sé muovendo occhi e mani verso il divino Figlio in quello che poi diverrà il Santuario delle Grazie ma è stata poca cosa di fronte alle solide apparizioni di Bovegno o di Santa Maria della Stella in Cellatica. I bresciani non ne hanno avuto a male, nonostante apparisse chiaro che la Vergine prediligeva contadine, mutoli, poveri e montanari. Al perché di questa sua latitanza, non riuscirono a dare una risposta. Forse la Vergine santa non voleva intromettersi tra le beghe locali, prima quella tra guelfi e ghibellini, e poi quella tra partito milanese e quello veneziano. Oppure, dato che Brescia era ben guarnita di conventi e di clero, ha preferito istruire plebei e montagnini, che rischiavano seriamente di diventare prima patarini e poi protestanti. Non sappiamo. In ogni caso, i cittadini che non sembrano aver sofferto di “part d’invis”, sono andati loro dalla Madonna. Le hanno preparato santelle e affreschi, che hanno costellato le loro strade e i loro crocicchi per secoli.
Si potrebbe dire con un pizzico di azzardo che, se la Madonna non è stata a Brescia, i bresciani però hanno avuto con lei una consuetudine familiare e costante, soprattutto per le strade e le contrade. Edicole e immagini erano un invito velato alla Madonna, se non a manifestarsi personalmente, perlomeno a tenerli sott’occhio. Ed ecco che la Vergine ha risposto: si è manifestata nel suo ruolo materno e protettivo, proprio per le strade o nelle case private. Quindi, a Brescia la Madonna è stata più che altro una Madonna di strada (Absit iniuria verbis). Infatti, nel XVI secolo la Madonna della fontana, sita in piazza del Mercato, si mette a elargire grazie e miracoli in abbondanza, tanto che i bresciani decidono di costruirle il piccolo ed elegante tempietto, che oggi chiamano Madonna del lino. Lo stesso dicasi per la cosiddetta Madonna del camino, oggi venerata in Santa Maria in Calchera, dopo che aveva elargito i suoi celesti favori in una casa qualsiasi del quartiere. Stesse modalità per la Madonna della misericordia in Sant’Agata. E la medesima cosa vale anche per la Madonna dei miracoli. Siamo sul finire del millequattrocento; la terribile peste che aveva vessato la città sembra terminare nel 1484. Sul muro di una casa affacciata su quella che allora era detta la strada di San Nazaro sta dipinta da qualche tempo una semplice immagine di una Madonna Lactans; forse ex voto per la nascita di un figlio atteso da tempo, forse commissionata da una madre che ha ottenuto il dono del latte, indispensabile per crescere il proprio pargoletto. Pressoché contemporaneamente al termine del flagello, si sparge la voce che tale Madonna manifesta poteri miracolosi. La gente accorre a frotte e subito cominciano a piovere donazioni ed elemosine, che il Comune pensa di impiegare immediatamente per la costruzione di un nuovo santuario. Lo stesso Comune ha appena avviato i lavori per la costruzione della Loggia, e la città pullula di operai venuti da ogni dove e di cantieri a cielo aperto. L’intento generale è quello di chiudere una stagione dolorosa e di aprirne, una nuova, nel solco della speranza.
Le maestranze presenti in Brescia, soprattutto quelle operanti nel cantiere della Loggia, sono parzialmente dirottate verso la nuova chiesa, che presto costituirà un gioiello cittadino, mostrando la sua bella facciata monumentale, terminata attorno al 1500».
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