Il calcio che dribbla il fascismo: le storie di Peruchetti e Beretta

Calcio, Brescia e Resistenza in un libro pieno di colpi di scena. Da poco uscito nelle librerie si intitola «Il terzino e il Duce» (Ed. Solferino). L’autore è il giornalista modenese, trapiantato ad Ostia, Alessandro Fulloni, che si è occupato di cronaca romana fino al trasferimento a Milano nel 2012, ora in forze al Corriere della Sera, già autore del libro «Il caso Ostia» collegato alla storia di Tangentopoli. Lo abbiamo intervistato.
Fulloni, com’è nata l’idea per questo nuovo libro?
«Mi sono imbattuto per caso in una fotografia raffigurante Eraldo Monzeglio sul fronte russo durante la seconda guerra mondiale. La figura del famoso calciatore, due volte campione del mondo con la Nazionale, mi ha incuriosito, ho iniziato le ricerche fino a creare il libro, con il taglio del cronista».
Cosa ha scoperto?
«Monzeglio credeva nel fascismo e partì volontario nel 1942 per il fronte russo, per una guerra d’aggressione: tutti elementi non positivi. La sua fama gli consentì di conoscere personalmente il Duce: dapprima divenne istruttore di tennis di tutta la famiglia. Poi, dopo l’8 settembre, trasferitosi a Gargnano a Villa Feltrinelli, fu uomo di fiducia di Mussolini. Divenne una specie di agente segreto. La storia però diventa sbalorditiva: Eraldo era in fondo una brava persona e ad un certo punto non accettò più la violenza che vedeva intorno a sé, così seguì la propria coscienza. Entrato in contatto con la Resistenza, usò il potere derivante dalla vicinanza a Mussolini per salvare gli antifascisti ed i partigiani che venivano catturati. Si adoperò rischiando la vita per mitigare gli interrogatori più feroci e le torture, ed evitare che venissero eseguite le condanne a morte».
Come fu possibile questa duplice attività?
«Con il consenso di Benito. Eraldo gli chiedeva di intervenire consegnandogli bigliettini con i nomi delle persone da salvare. Il Duce si attivava – come risulta anche da altre testimonianze raccolte – più per calcolo che per convinzione. Dopo l’8 settembre 1943, l’armistizio Badoglio e la creazione della Repubblica di Salò, Mussolini sapeva ormai di essere prigioniero dei tedeschi dal punto di vista politico, e tendendo una mano all’avversario sperava in un trattamento più clemente nei propri confronti, in caso di sconfitta, preoccupato per il giudizio della Storia. Aderiva a richieste d’aiuto provenienti dal clero, cercava di mitigare la ferocia delle sue Brigate nere».
Quali sono i collegamenti di questo libro con la storia di Brescia?
«È la storia di due partigiani legati a Brescia e al calcio. Il partigiano Giuseppe Peruchetti di Gardone Val Trompia, ex portiere del Brescia, dell’Inter e della Juventus, nel novembre 1944 venne arrestato dalle Brigate nere mentre trasportava armi che gli erano state consegnate in segreto dalla Beretta. Arrestato a Torino, Peruchetti fu condannato a morte: in un’intervista raccolta dal giornalista Xavier Jacobelli sulla Gazzetta dello Sport, 30 anni fa, racconta che nell’aprile 1945 anziché essere fucilato fu accompagnato fuori dal carcere: ad attenderlo c’era Monzeglio, con le credenziali del Comitato di Liberazione Nazionale e un’auto fornita da Ferruccio Parri, futuro Capo del Governo dell’Italia liberata. Per alcuni retroscena attinenti alla Resistenza nel Bresciano ho attinto agli studi di Marino Ruzzenenti, uno dei maggiori esperti della Resistenza a Brescia».

E la seconda vicenda?
«Monzeglio salvò pure Piercarlo Beretta detto Carlino, patron dell’azienda armiera, arrestato dai tedeschi nell’estate del 1944 perché scoperto mentre consegnava armi ai partigiani. Durante i bombardamenti degli Alleati, che cercavano di distruggere la fabbrica di armi utilizzata dai tedeschi, Carlino per salvare i lavoratori li lasciò a casa al riparo, fermando la produzione ed irritando i tedeschi, poi furiosi dopo aver scoperto il doppio gioco. Monzeglio fece attivare Mussolini presso la SS e la Gestapo ottenendo il rilascio di Beretta, che poi sarebbe divenuto presidente del Brescia Calcio e negli anni Cinquanta anche allenatore della Nazionale».

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