I Preraffaelliti: rivoluzionari con la nostalgia del passato

Nel 1849, a Londra, la mostra della Royal Academy presentò alcuni dipinti in cui, alla firma dell’autore, si accompagnava la sigla «PRB». Fu questa sigla misteriosa il solo motivo di interesse nei confronti di questi artisti, i cui lavori vennero ferocemente criticati. Il mistero non durò a lungo: e gli aderenti della «PreRaphaelite Brotherood», la Confraternita Preraffaellita, e cioè i sette giovani che la costituivano, si inserirono bellicosamente nella scena culturale contemporanea. Il momento era quello delle rivoluzioni liberali e nazionali sul continente, e Londra, la città più industrializzata e moderna d’Europa, era un crogiolo sociale e culturale di due milioni di abitanti.
Varietà. La Confraternita rappresentava bene questa varietà di esperienze e origini sociali: nata per iniziativa di Dante Gabriel Rossetti, che era figlio di un esule politico italiano, era formata da studenti provenienti da famiglie di commercianti, artigiani, dipendenti pubblici, operai.
«Raffaellita», per loro, era tutta l’arte europea a partire da Raffaello, accusato di tradimento della verità e della semplicità; e dunque, anche quella della Royal Academy. I modelli per un’arte aderente alla realtà e alla verità, secondo questi artisti andavano cercati nella pittura italiana dei secoli precedenti, come gli affreschi del Camposanto di Pisa, i lavori di Benozzo Gozzoli e i quadri di Botticelli, pittura che, tuttavia, nessuno di loro aveva mai visto dal vero. Rivoluzionari. A questi artisti, che furono realmente rivoluzionari per tecniche e contenuti, e che furono anche tipicamente vittoriani per la capacità di fondere àmbiti e argomenti apparentemente stridenti, come lo spirito medievale e gli spunti letterari contemporanei o stilnovisti, e le tematiche sociali più attuali e scottanti, dal lavoro degli umili alla condizione della donna, è dedicata la mostra «PreRaffaelliti. Amore e desiderio».
Dalla Tate. L’esposizione è aperta al Palazzo Reale di Milano fino al 6 ottobre. Curata da Carol Jacobi, Curator of British Art 1850-1915 della galleria Tate Britain di Londra, con la collaborazione di Maria Teresa Benedetti, porta a Milano circa 80 opere di 18 artisti preraffaelliti, di proprietà della Tate, alcune delle quali celeberrime: l’«Ofelia» di John Everett Millais, che è quasi il «manifesto» della Confraternita, la «Lady of Shalott» di John W. Waterhouse, l’inquietante «Beata Beatrix» di Dante Gabriel Rossetti, dedicato alla moglie e modella Elizabeth Siddal, morta forse suicida, e le superbe bellezze femminili da lui dipinte quando la fede preraffaellita nel purismo si andava trasformando in una ricchezza di forme e colori tizianeschi e nella celebrazione della bellezza in sé. Il percorso espositivo offre anche dipinti significativi di Ford Madox Brown e William Hunt, «confratelli» della prima ora, oltre che di Arthur Hughes.
Breve durata. La Confraternita Preraffaellita in sé, con la sua rigida adesione alla predominanza delle linee di contorno, al colore puro, alla resa esatta del dato reale, a tematiche letterarie, medievali, religiose, durò pochissimo. Alcuni artisti infatti se ne andarono, altri si aggiunsero condividendo le idee di una ritrovata «moralità» dell’arte, idee sostenute a spada tratta da John Ruskin, che era il più radicale critico d’arte dell’epoca. La seconda ondata. Di questa «seconda ondata» fecero parte William Morris, innovatore nelle arti applicate, la sua bellissima moglie Jane Burden, amante di Rossetti (peraltro non presenti in questa mostra) e Edward Burne-Jones, mentre compagni di strada ne furono letterati come Algernon Swinburne e Walter Pater. In pratica, possiamo dire che negli anni Sessanta e Settanta il PreRaffaellitismo finì col confluire nell’estetismo e nel simbolismo.
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