Cultura

Guerri: «Più fascismo nei social che nei saluti romani di Acca Larenzia»

Elena Pala
Lo storico, durante la terza edizione del Garda Lake History Festival, parlerà di Benito Mussolini, a cui ha dedicato un saggio recente
Giordano Bruno Guerri - Foto Marco Beck Peccoz
Giordano Bruno Guerri - Foto Marco Beck Peccoz
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Si tiene oggi, 4 luglio, presso la Sala dei Provveditori di Salò alle ore 20.30 il primo dei cinque incontri della terza edizione del Garda Lake History Festival «Il Novecento e oltre» organizzato dal Centro Studi Rsi di Salò. Abbiamo incontrato il relatore, lo storico Giordano Bruno Guerri, che stasera affronterà la figura di Benito Mussolini, per avere qualche anticipazione sul suo intervento.

Giordano Bruno Guerri, la sua nuova fatica editoriale incentrata sulla figura del duce non poteva scegliere momento migliore per uscire nelle librerie. L’irrompere sulla scena mondiale dell’ultradestra dei Trump e degli Orban e l’arrivo alla guida del governo da noi di un partito - Fratelli d’Italia - che non nasconde di riconoscersi nella tradizione politica della destra degli Almirante e dei De Marsanich hanno rilanciato la vecchia questione dell’incombente pericolo fascista gravante sulla Repubblica nata dalla Resistenza. Lei non si fa risucchiare dalla rissa, ma con passo felpato affronta di lato il problema. La lettura che offre del fascismo è ben indicata dalla scelta stessa del titolo: «Benito. La storia di un italiano». Come dire: Mussolini non viene da Marte, ma dal cuore del Belpaese, da Predappio. È a pieno titolo italiano come lo è il fascismo.

Esattamente, proprio questo voglio dire nel titolo. Mussolini non viene da un altro mondo. Non ho voluto partecipare al dibattito, devo dire strumentale, su quanto nostalgismo corra nelle vene della Presidente Meloni. L’allarme–fascismo mi sembra evidente che risorga ogni volta che il centrodestra torna al governo. Non c’è mai stata polemica sul pericolo di un fascismo in agguato quando, che ne so, ha governato D’Alema o Prodi. Nel caso del mio libro la buona notizia è che non ha suscitato alcuna polemica né ha registrato delle riserve di merito e di metodo nemmeno dal fronte della sinistra.

Azzeccato il titolo, ma azzeccata anche la scelta di affrontare il tema con un racconto di taglio narrativo che rende molto intrigante la lettura. Il lettore non deve inerpicarsi su complesse discussioni storiografiche tra addetti ai lavori. Come diceva Renzo De Felice, il modo migliore di fare storia è raccontarla.

Sono d’accordo. Credo che il modo migliore di raccontare il passato – e di farsi leggere, devo aggiungere – sia quello di raccontare come sono andate effettivamente le cose e lasciare poi che ciascuno si faccia un giudizio sul passato. De Felice è stato un grande maestro, ma i suoi volumi monumentali col suo taglio professorale scoraggiavano il lettore. Io ho cercato di semplificare questioni complesse in maniera che il lettore potesse seguire senza difficoltà l’intricata vicenda della storia del fascismo.

Per citare di nuovo lo studioso imprescindibile del fascismo, De Felice sosteneva che non di fascismo dovremmo parlare, ma di mussolinismo.

Sposo a pieno questa lettura e cerco di approfondirla. Il culto dello Stato, proprio del fascismo, non piace agli italiani di oggi come non piaceva agli italiani di ieri. Esso viene meno se la base ideologica del fascismo viene sostituita dal culto del duce.

Il fascismo è morto, la Repubblica sociale è morta, ma la loro memoria vive tra noi, fonte perenne di divisione e di polemiche politiche.

L’allarme «pericolo fascista» rispunta puntualmente ogni volta che la destra va al governo. Io non credo che chi vota lo faccia perché si sente fascista. Sarebbe come sostenere che il 30% degli italiani è fascista. Cercare di tagliare le radici di un’identità di un partito è un’operazione autolesionista che Meloni non si può permettere. Io credo che lei non sopporti i vecchi arnesi del suo partito, ma non può liberarsene. Piano piano sta cercando di costruire un futuro dove la fiamma si spenga per costruire un partito conservatore che a me sinceramente non piace. Non vedo però nessun pericolo fascista. Vedo un pericolo fascista ben più grave nel controllo dei mezzi di comunicazione internettiana, nei satelliti, nella gestione dei social, e non nei ragazzi di Acca Larenzia col braccio alzato che non sanno nemmeno quello che fanno.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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