Cultura

Gianluca Gotto: «Ho scoperto l’ayurveda all’apice della felicità»

Lo scrittore e divulgatore sarà in piazza Loggia il 2 settembre con il talk dal vivo «Le tre vie del ben-essere»: qui parla del nuovo libro «Verrà l’alba, starai bene
Lo scrittore Gianluca Gotto - Foto Facebook
Lo scrittore Gianluca Gotto - Foto Facebook
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Quando presenta i suoi libri o parla durante i suoi talk, la gente ascolta attentissima. Soprattutto al Nord Italia: «Siamo molto stressati e certi argomenti suscitano interesse. In altre aree, dove i ritmi sono più lenti, il problema non è lo stress ma la voglia di cambiare vita. Chi viene dal Nord spesso vuole cambiare se stesso, al Sud percepisco che le persone sentono invece il bisogno di cambiare contesto, perché quello in cui vivono non offre opportunità. Ecco perché in alcune zone sento più interesse verso i primi romanzi, quelli che parlavano del cambio di vita e di continente, mentre in altre c’è più curiosità verso i libri in cui tratto la ricerca interiore». Chi parla è Gianluca Gotto, scrittore e divulgatore che parla di felicità e tecniche orientali a lettrici e lettori italiani che accumulano i suoi romanzi sul comodino: sui social ha un seguito altissimo ma non mancano le possibilità di ascoltarlo dal vivo. A Brescia accadrà il 2 settembre, quando in piazza Loggia alle 21 parlerà delle «Tre vie del ben-essere» (biglietti su Ticketone a partire da 30 euro). Qui ci anticipa qualcosa.

Gianluca, il suo ultimo romanzo («Verrà l’alba, starai bene», Mondadori) parla di burnout e ayurveda. È la prima volta che usa una protagonista donna...

Era un’idea che avevo da tempo. Già il mio primo romanzo, Succede sempre qualcosa di meraviglioso, inizialmente prevedeva una protagonista, ma non ero pronto: sarebbe stato troppo complesso. Nei cinque anni successivi ho portato i libri e i contenuti in giro per l’Italia e mi sono confrontato con tante donne e ragazze - che rappresentano circa il 70% del mio pubblico - imparando a conoscere meglio il loro universo. Oggi parlare di differenze sostanziali tra uomini e donne non ha più senso: grazie a Dio, nella nostra società non ci sono più. Però il tema dello stress, che tocca chiunque, è quasi sempre raccontato dal punto di vista maschile. Dell’uomo stressato che lavora troppo abbiamo già tante narrazioni. Lo sguardo femminile è meno comune: spesso la donna viene ancora dipinta come bisognosa d’amore, una principessa cresciuta ma sognatrice, dipendente dal partner. Non è più così nella realtà. La mia protagonista, Veronica, è invece una donna in burnout, una single trentenne che lavora e si allena tantissimo, e che vuole controllare tutti gli aspetti della sua vita perché solo questo le dà sicurezza. Molte lettrici si sono ritrovate in lei: mi hanno raccontato che non si sentono serene, che percepiscono la solitudine e un vuoto da riempire. Il rischio è di cadere in relazioni tossiche, come accade a Veronica, finendo con il primo uomo che si presenta come decente, ma che spesso riconosce la disperazione e se ne approfitta.

L’ayurveda arriva quindi quasi in suo soccorso. Nel romanzo lei la spiega attraverso la narrazione: come la descriverebbe a chi non la conosce?

Per gli indiani è la scienza della vita, esiste da cinquemila anni. Nei fatti è una pratica medica che cura i problemi di salute, ma in origine serviva ad aiutare la persona a conoscersi meglio: i malanni nascono dal non conoscere se stessi o dall’ignorare la propria natura. Gli squilibri portano a malessere fisico e mentale. L’ayurveda propone tre passi: scoprirsi, vivere rispettando la propria natura, trovare armonia con essa. Lo strumento sono i Dosha, tre energie che tutti abbiamo: a seconda di quale prevale possiamo capire come siamo fatti. Il viaggio di Veronica è proprio la scoperta del suo Dosha predominante, il Pitta: ordinata, precisa, ossessiva, disciplinata, competitiva. L’ayurveda non ti dice di cambiare: ti dice di accettarti per quello che sei, di autodeterminarti a partire dalla tua natura.

Lei come l’ha scoperta?

È arrivata un po’ per caso. Il buddhismo l’ho incontrato nel momento più buio della mia vita, l’ayurveda invece in quello più felice: nel 2022, quando con la mia compagna abbiamo scoperto che saremmo diventati genitori. Lei voleva fare una visita ayurvedica e io l’ho accompagnata. La dottoressa però ha voluto visitare prima me: solo prendendomi il polso e osservandomi il cuore mi ha detto che in passato avevo sofferto di depressione. Una cosa che sapevo solo io. Non riuscivo a capire come potesse saperlo, considerando anche quanto stessi bene in quel momento. Mi ha colpito molto, e da lì ho iniziato ad approfondire.

Al centro della sua attività di romanziere e divulgatore ci sono la felicità, lo zen, il benessere e ora l’ayurveda. Chi vive una vita in Occidente può davvero trovare quello stato di cui parla?

Sì. Io cerco di portare dall’Oriente solo i concetti universalmente applicabili. Il Buddha parla a tutti. Chi conosce solo il buddhismo non conosce davvero il buddhismo, perché riguarda la vita: conoscere se stessi, le relazioni, l’esistenza, anche nei suoi aspetti più concreti. Lui stesso, nella prima parte della vita, era un edonista. Un altro aspetto importante è l’idea di successo. In Oriente non coincide con il primeggiare o la fama, ma con il benessere quotidiano, la calma, la saggezza. È un benessere inclusivo, non esclusivo. In Italia invece la felicità è vista come qualcosa di elitario, legato a personaggi e beni materiali. In Oriente i riferimenti sono altri: il monaco buddhista, il contadino che vive bene nella frugalità, il saggio delle storie.

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