Cultura

«Dipingo con candeggina e ruggine il diritto di essere normali»

Michele Battagliola, studente bresciano di 22 anni, nel suo atelier crea opere per sensibilizzare i suoi coetanei e opporsi alla spirale social
  • Alcune opere nello studio di Michele Battagliola in centro a Brescia
    Alcune opere nello studio di Michele Battagliola in centro a Brescia
  • Alcune opere nello studio di Michele Battagliola in centro a Brescia
    Alcune opere nello studio di Michele Battagliola in centro a Brescia
  • Alcune opere nello studio di Michele Battagliola in centro a Brescia
    Alcune opere nello studio di Michele Battagliola in centro a Brescia
  • Alcune opere nello studio di Michele Battagliola in centro a Brescia
    Alcune opere nello studio di Michele Battagliola in centro a Brescia
  • Alcune opere nello studio di Michele Battagliola in centro a Brescia
    Alcune opere nello studio di Michele Battagliola in centro a Brescia
  • Alcune opere nello studio di Michele Battagliola in centro a Brescia
    Alcune opere nello studio di Michele Battagliola in centro a Brescia
  • Alcune opere nello studio di Michele Battagliola in centro a Brescia
    Alcune opere nello studio di Michele Battagliola in centro a Brescia
  • Alcune opere nello studio di Michele Battagliola in centro a Brescia
    Alcune opere nello studio di Michele Battagliola in centro a Brescia
AA

C’è chi usa la candeggina per cancellare i segni. E chi la usa per lasciarli. Michele Battagliola, studente universitario bresciano di 22 anni, dal 2019 crea opere d’arte usando una tecnica originale: dipinge usando l’ipoclorito di sodio su tessuti naturali, per dar vita soprattutto a volti e sguardi.

Ma non solo: usa anche la benzina, insieme all’acrilico, e come tela sceglie i vecchi cartelloni pubblicitari arrugginiti, impastando colore e carta consunta dal tempo. Anche in questo caso, la sua produzione contempla principalmente soggetti umani. Lo scarto diventa opera: ciò che è da buttare viene riconosciuto come prezioso e esaltato a oggetto da ammirare.

La firma di Michele Battagliola non è nuova in città: sono sue alcune opere di street art disseminate in centro a Brescia. Alcune ancora visibili, come la saracinesca in piazza Vittoria che ritrae il bacio tra Marlon Brando e James Dean. Altre sparite come «Hope less», che per quattro mesi ha campeggiato su un grande cartellone pubblicitario in via Cremona, attirando centinaia di curiosi che si fermavano a contemplarla e fotografarla. L'enorme disegno però è stato poi coperto con l'inserzione pubblicitaria di un formaggio. «L'hanno appiccicata proprio sopra alla mia opera, lasciando liberi tutti i tabelloni a fianco».

Battagliola davanti alla sua opera in piazza Vittoria a Brescia - © www.giornaledibrescia.it
Battagliola davanti alla sua opera in piazza Vittoria a Brescia - © www.giornaledibrescia.it

Entrare nel suo atelier in corso Cavour è un’immersione, ma la sensazione non è quella della mancanza d'aria, al contrario. Quello che se ne ricava è un respiro a pieni polmoni. Nonostante in passato gli sia capitato di esporre in alcune gallerie e riceva ancora oggi diverse richieste, Battagliola preferisce lasciare che le sue creature trovino spazio solo in studio. Per ora. «Voglio che la mia arte sia fruibile a chiunque passi di qui, animato dalla voglia di capire».

L’inizio

Com’è cominciato questo percorso creativo? «A scuola facevo schifo nelle materie artistiche: la maestra correggeva ogni mio lavoro. Le tecniche tradizionali mi stanno strette». Forse anche per questo, l'ispirazione arriva di sorpresa, in un ristorante di sushi: «Ero a cena con mio padre e ho rovesciato la salsa di soia sulla tovaglia: si è creata una macchia a forma di faccia. Lì per lì ho pensato che se anche da un incidente poteva scaturire un senso, allora anche io potevo provarci». E così è stato.

Battagliola, che studia Giurisprudenza a Brescia, comincia ad armeggiare con quello che aveva in casa, sperimentando l’impiego di tavolozze atipiche. Usa salse e liquidi di vario tipo, finché trova quello che lui definisce il suo «oro nero»: la candeggina. «La scelta non è stata casuale: si tratta di un composto chimico che sottrae ossigeno ai coloranti dei tessuti, disinfetta, sbianca. Usandola per creare e non per cancellare, però, il suo potere si inverte. È come il sollievo dopo una lunga apnea». Il riferimento, spiega, è al periodo devastante del lockdown, che lo ha turbato nel profondo: «La consolazione che ho trovato nell'arte mi ha salvato e ora la voglio condividere».

Il diritto di essere normali

Tra i temi ricorrenti di Battagliola spicca il diritto a essere normali e il peso che l'importanza dell'apparenza ha invece sui giovanissimi. Un filone che affonda le radici nell'abuso dei social network e che è quantomai attuale, anche alla luce delle recenti rivelazioni contenute nei Facebook Files, che puntano il dito su come Mark Zuckerberg e i suoi manager da anni fossero consapevoli dei danni che l'algoritmo di Instagram provoca agli adolescenti.

«Anche io uso Instagram per veicolare la mia arte, ma non cerco consensi. Anzi, prendo le distanze da un mondo di gazze ladre in cui ci si spende solo per ciò che luccica». Prosegue: «Viviamo in una società in cui bisogna quasi avere vergogna di non essere straordinari, in cui essere normali è considerato un fallimento. Osanniamo gli influencer, ma i veri supereroi a mio parere sono le persone che passano inosservate. I social e l’ansia di voler piacere hanno portato la mia generazione a inseguire solo il bello e l’utile, quello che in qualche modo dà visibilità».

Nasce da questa riflessione, ad esempio, un’opera dall’impatto quasi violento: «Evoluzione?» mette a confronto il passato, un bambino in un lager con il numero identificativo sul petto, e l'oggi, cioè la stessa figura schiava dei numeri di Instagram. «Le Identità tornano a dipendere da un numero. Questa volta non dobbiamo cucirlo sui vestiti, nemmeno tatuarcelo, ma comunque in un modo o nell’altro è come se lo avessimo sempre cucito addosso e serve a classificarci». 

Tra gli altri temi che ricorrono nelle creazioni di Battagliola ci sono la libertà d'espressione, l'amore senza etichette, la fluidità di genere e la lotta al razzismo. «Le mie muse sono le persone emarginate, quelle che non hanno voce. È a loro e per loro che sento il bisogno di esprimermi».

La candeggina

Esposte nel suo studio, retroilluminate da fari che ne esaltano i contrasti, ci sono diverse opere realizzate con la candeggina su tessuto, poi stabilizzate con acqua ossigenata. O almeno, quelle che sono rimaste e non ha regalato.

«Io non vendo niente, mi disgusta pensare all’arte accostata ai soldi. Accetto lavori su commissione, ma solo se in linea con la mia filosofia. Quello che mi offrono come rimborso lo accetto se lo posso reinvestire nell’arte stessa, cioè per acquistare i materiali che uso». Certo, una possibilità di scelta che deriva anche dall'essere «di buona famiglia», come lui stesso si definisce. «Sono privilegiato e lo so, ma con umiltà penso che questo non sarà in futuro il mio lavoro principale».

Tra i suoi strumenti d'elezione c'è, come detto, la candeggina: un liquido molto difficile da domare, che Battagliola è riuscito a gestire dopo lunghe ricerche chimiche e imparando a trattare i tessuti visitando diverse lavanderie. «Disegno dopo disegno ho capito qual era il tocco giusto e ho iniziato a visualizzare nella mia mente il soggetto prima che la reazione chimica abbia il tempo di compiersi. Questione di pochi minuti, ma fondamentali». Ogni goccia di liquido è disgregata, ma insieme alle altre compone l’opera.

La benzina

Nasce invece dalla volontà di dare dignità a quello che agli occhi degli altri è uno scarto la scelta di dipingere, con benzina e acrilico, sulla ruggine. «Trovo autenticità in tutto ciò che è ferito, rovinato, considerato indegno».

Attingendo dai magazzini municipali in provincia, Battagliola recupera vecchi cartelloni pubblicitari e elettorali in ferro, che altrimenti verrebbero rottamati. E proprio al recupero di alcuni di questi tabelloni è legato un aneddoto: «Ero al Comune di Esine a ritirarne alcuni quando, nel mucchio di quelli da smaltire, ne ho trovato uno su cui tempo prima avevo fatto una mia opera di street art: un segno del destino, è come se l'arte fosse venuta a cercarmi per chiudere un cerchio».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia