Se tindìga à le tràpe è attenzione alla vita

In queste settimane i vigneti sono punteggiati dalle figure scure dei braccianti che curano i tralci al loro prìm bötà, vivace di un fresco verde. Un’attenzione alle viti che è attenzione alla vita. Ci racconta Armando: «Sono nato a Castenedolo, le viti le chiamavamo ’ìcc. Da quando abito in Franciacorta sento che qui le chiamano tràpe».
È vero. Nello specifico, le tràpe sono i tralci, il getto nuovo che annualmente porta il vigore del piede del vitigno fino ai grappoli. Mille anni fa, quando da obiettore seguivo gli anziani a Provaglio d’Iseo, c’era un vecchio solitario ossessionato dalla paura che qualcuno gli rubasse l’uva.
Così il mattino alle 5 prendeva la bici e andava nel suo campo: «Vó a tindìga à le tràpe...» spiegava. Vado a vigilare sulle viti. Alle 6 era già di ritorno. Tranquillo. Convinto che per il resto del giorno i suoi grappoli fossero ormai al sicuro.
Quel verbo - tènder - mi è sempre restato nell’orecchio. È un verbo caro, per suono e per significati, a Franca Grisoni, intensa poetessa di Sirmione. Nella sua ultima raccolta «Le crepe» - una sezione della quale si intitola proprio «Tender» - una poesia rivolta alle lucciole del giardino recita: «Ve tendaró. / Riarì a fa bel / aca chest’an, chi, a sercàf».
Una poesia che parla di attesa (ve tendaró). Il bresciano tènder arriva dritto dal latino «ad-tendere», che è il tendersi verso qualcosa. È l’at-tendere, è il prestare at-tenzione. Non so se il mio anziano di Provaglio sia davvero mai riuscito a sventar furti nel suo vigneto. Sono assolutamente certo, invece, che il suo tindìga à le tràpe abbia in qualche modo fatto del bene ai tralci così come anche a lui. L’attenzione alle viti, l’attenzione alla vita.
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