Parole «stazzonate» a cui metter mano

Chissà mai da quale anfratto della memoria talvolta tornano a galla - senza nemmeno dare congruo preavviso - echi di antichi modi di dire familiari. Di parole che credevamo di aver dimenticato e che invece ci si ripresentano di colpo. Magari accompagnate dal volto di un amico o di un parente che le pronunciava decenni fa. A me accade regolarmente. E stavolta è successo anche ad Alberto: «Mia nonna - ci scrive - quarant’anni fa utilizzava l’epiteto smansolàda per indicare una ragazza disordinata, trasandata. Qual è l’origine della parola?»
Il termine smansolàt significa proprio «stazzonato». Ce lo confermano tra l’altro il vocabolario del Pasquini, il bergamasco Tiraboschi, il dizionario di Scaramella, il settecentesco abbecedario dei seminaristi bresciani, l’ottocentesco Melchiori. È termine desueto, io personalmente confesso di non averlo mai sentito. Il camuno Ghitti-Goldaniga fa derivare il verbo smansulà dalla radice latina di «manus» (la mano) perché indica proprio un «maneggiare». Però poi traduce l’aggettivo smansulàt con l’italiano «schizzinoso, sofisticato, di gusti difficili».
È la ricca varietà linguistica del territorio bresciano. Più di uno di questi vocabolari indica inoltre il verbo smansolà come sinonimo di spalpognà, che poi è un derivato di palpà. In questo caso in realtà il significato preso in esame è quello dell’italiano «palpeggiare», «mantrugiare», anche se in dialetto il termine palpà è spesso usato anche in modo metaforico: arriva ad indicare tanto un «picchiare» (el g’ha dàt una palpàda...) quanto il «rubare» (i m’ha palpàt la bici). Ma questa è un’altra storia. Ahimé, non desueta.
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