Dialèktika

Le parole dei pastori e l'ingaggio dell'amore

Tra dialetto e sentimento un rapporto parco, non arido
L'amore era cantato anche nelle poesie in gaì
L'amore era cantato anche nelle poesie in gaì
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Il rapporto tra dialetto bresciano e amore è un rapporto parco, fatto di pochi incontri. Non credo si tratti di aridità sentimentale (resto convinto che i nostri nonni abbiamo ben sperimentato passione e affetto senza aspettare che arrivassimo noi a spiegare il come si fa...) quanto piuttosto di diffusa cultura del pudore.

Tra i proverbi bresciani ce n’è che citano l’amore ma solo indicandolo come generica passione per qualcosa («Quànd che l’amùr el gh’è, la gàmba la tìra ’l pè» oppure «Lecà la bàsia per l’amùr dei gnòc»). O altri che si limitano ad evocarne l’incapacità di nascondersi («L’amùr, la fàm e la tós i-è tré laùr che sa conós»). Ben più profondo mi sembra «A fà ’l patös ga öl el restèl, a fà l’amùr ga öl el servèl». È il verso di una ninna-nanna. Inevitabile cogliervi un sentire femminile.

Ma lo scrigno in cui ho trovato le tracce più intriganti è una poesia di Dino Marino Tognali (indimenticato maestro di Vione) scritta in antico gaì, il grumoso gergo dei pastori. Si intitola «’L petaèla» e racconta di un pastore che «’l sàma sö ’l mùt sblanchinà» (se ne va dai monti colti dalla prima neve) e torna perché «a ’l sò slóns ’l mandèla la manéa» (al suo paese lo aspetta la sua donna), per la quale batte il suo «cör ’ngagerà» (il suo cuore innamorato). In quell’ngagerà sono caduto come in un pozzo. Significa «innamorato» in gaì ed è legato al termine gagéra che per i pastori delle nostre valli era l’«amante», proprio come gàgia era l’aggettivo «bella». Io nel termine ’ngagerà ci sento tanto la «gaiezza» (la bellezza, l’avvenenza) quanto l’«ingaggio» (l’impegno, il vincolo).

Toccava proprio al rude linguaggio dei pastori ricordarci come l’amore sia - insieme e inestricabilmente - passione e responsabilità.

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