Il letto, la cùcia e la ladra noèla

Quando arriva in famiglia una cagnolina cucciola (una noèla, è il termine dialettale evocato pochi giorni fa dall’attempato vicino di casa incrociato vicino al parco) la cosa più difficile è spiegarle che lei non può salire sul tuo letto. Perché lei dorme altrove, nella cuccia. Anzi, fa’ cùcia era proprio il comando con cui i nostri nonni intimavano ai cani di starsene al loro posto.
Allora lei, la tremènda, ti guarda negli occhi e prova a farti capire che la parola dialettale cùcia (proprio come l’italiano «cuccia») viene dal francese «coucher», dormire. E che il francese antico «colchier» era figlio dritto del latino «conlocare», che indicava il «sistemare in un luogo» (e con «locus» si intendeva anche l’abitazione, la dimora, la stanza). Insomma: la noèla sostiene che il bresciano cùcia è parente stretto del napoletano «cuccà» (dormire) e dell’italiano «coricare» e «coricarsi». E allora «cuccia» è solo un altro modo di chiamare il letto. Quindi...
A questo punto tu - linguisticamente alle strette - assumi l’aria di chi comanda e pronunci un secco «Té sta’ quacìna...», tu stattene tranquilla, non rompere. L’aggettivo bresciano quacì non inganni: nel suono può ricordare cùcia ma ha una storia del tutto diversa. È parente dell’italiano «quatto» (detto di chi se ne sta chinato a terra per non farsi vedere) ed è legato ai verbi dialettali quaciàs zó ed encuciàs (acquattarsi) oltre che all’espressione en cuciù (starsene accovacciati sui calcagni). Quacì e «quatto» sono cugini dell’italiano «coatto» e arrivano dal latino «co-actus», cioè «costretto». Costretto a starsene al suo posto, a cuccia.
Lei - la noèla - si volta, annusa in giro e se ne va. Tu credi di aver vinto. Lei è da qualche parte che maciulla coi denti la calza che ti ha rubato.
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