I dottori veneziani e i cantù da svicolare

Cercare scorciatoie e smussare gli angoli è un pregio o un difetto? Può essere l’una o l’altra cosa, dipende. Il dubbio mi è tornato pochi giorni fa quando su internet ho ritrovato la vecchia filastrocca sui territori della Serenissima: «Venessiàni gran signori, padovani gran dotòri, vicentini maiagàtti, veronesi tutti màtti». Non manca una coda per le città lombarde legate a San Marco, che verso la fine cita anche «i bresàn tàjacantóni» e i «bergamaschi brusacristi».

Restiamo a noi: essere tajacantóni è un pregio o un difetto? Nel nostro dialetto cantù significa angolo. Ma anche luogo appartato, area distinta. All’origine della parola c’è il termine greco antico «kanthòs» che significa angolo dell’occhio, visione laterale. Noi bresciani il termine cantù lo usiamo sia per dire di un... accantonare (la sgarnéra róta làsela en d’èn cantù) sia per indicare un incrocio sulla pubblica via (el cantù dèla madunìna). Un tàjacantóni - quindi - è chi nella vita non rispetta tutte le svolte ufficiali. Un pregio se si ammira la capacità di trovare soluzioni innovative e di arrivare comunque a un risultato (attitudine certo bresciana). Una critica se indica la disponibilità a saltare norme e regole (attitudine pure bresciana?).

Il dubbio resta. E la permanenza delle questioni irrisolte mi ricorda la storiella dei due amici che davanti a una formaèla quadrata discutono su come darle la forma più elegante. Il primo embèca (ne taglia un triangolo, una bèca), il secondo enguàla (ne taglia un secondo triangolo, ricreando un rettangolo). Embèca enguàla, embèca enguàla... il problema non viene risolto eppure scompare. Anche la formaèla.