Cultura

De Stefano: «L'origine dell'invasione dell'Ucraina nell'idea sovietica di nazionalità»

L'autrice, docente alla Luiss, sarà tra i relatori dell'incontro di martedì 15 all'Auditorium Santa Giulia promosso da Ccdc e Brescia Musei
Carolina De Stefano, docente e ricercatrice all'università Luiss Guido Carli
Carolina De Stefano, docente e ricercatrice all'università Luiss Guido Carli
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La Russia è diventata in questi mesi il tema prevalente della saggistica di politica estera. «Storia del potere in Russia. Dagli zar a Putin» edito da Scholé (226 pagine, 16 euro), in libreria dall’8 novembre, ha un approccio differente sia dalle biografie su Vladimir Putin sia dai lavori geopolitici tanto in voga in questo momento.

Ne parla l’autrice Carolina De Stefano, che insegna Storia e politica russa all’Università Luiss Guido Carli e sarà tra i relatori dell’incontro di martedì 15 novembre alle 18 in città, all’Auditorium Santa Giulia, dal titolo «La violazione dei principi democratici e dei diritti umani nella Russia di oggi», nell’ambito del Festival della Pace 2022.

All’appuntamento, promosso dalla Ccdc e da Fondazione Brescia Musei, parteciperanno anche Marcello Flores (già docente di Storia contemporanea nell’Università di Siena), la giornalista de «La Stampa» Anna Zafesova, Anton Dolin, il più celebre critico cinematografico russo, caporedattore della rivista Isskustvo kino (Arte del cinema) ed editorialista del portale Meduza, che ha lasciato il Paese dopo l’invasione dell’Ucraina, e l’artista Victoria Lomasko.

Un manifesto a Mosca che inneggia alle gesta dei militari russi che da febbraio combattono in Ucraina
Un manifesto a Mosca che inneggia alle gesta dei militari russi che da febbraio combattono in Ucraina

Come descriverebbe il suo ultimo libro?

Il mio intento era fornire ai lettori riferimenti storici essenziali per capire meglio l’attuale guerra e il regime di Putin. Mi concentro soprattutto sui processi innescati dalla fine della Guerra fredda e il crollo dell’Urss, come le mancate riforme economiche. Ritengo che ciò a cui assistiamo non fosse inevitabile, né l’evoluzione del potere in Russia né la degradazione delle relazioni tra Russia e Occidente.

Nel libro individua tra i temi centrali quello delle nazionalità nell’ex Unione Sovietica, un tema che arriva a deflagrare in Ucraina con la guerra...

I conflitti irrisolti nello spazio post-sovietico, dal Nagorno Karabakh alla Transnistria, hanno tutti una radice comune. Sono legati alla questione della nazionalità, a come fu gestita durante l’Unione Sovietica e a come esplose negli anni ’80. Un tema ricorrente anche nella narrativa putiniana, che nel discorso in cui ha annunciato la guerra ha parlato di errori commessi da Lenin nell’organizzazione dell’Urss. L’accusa è quella di aver creato uno Stato ucraino per ragioni di opportunità quando l’Impero zarista si disintegrò, disegnando frontiere interne amministrative che poi però sono diventate frontiere di Stato dal 1991. Una delle molte prove di come Putin non abbia mai riconosciuto veramente il diritto a esistere dell’Ucraina, a tutti gli effetti uno Stato indipendente da più di 30 anni.

Analizzando il periodo dopo l’89, e in particolare l’era putiniana, come è cambiata la Russia?

Nell’arco di questo ventennio abbiamo assistito ad una ricentralizzazione del potere, a una radicalizzazione di un discorso nazionalista e conservatore e a una repressione crescente del consenso interno. Infine, la politica estera con Putin è diventata sempre più assertiva.

In questi anni effettivamente abbiamo assistito ad una proiezione internazionale della Russia, dalla Siria alla Libia. Cosa può dirci al riguardo?

Già negli anni ’90 si era riproposto il tema della proiezione esterna russa, quando nel 1996 Evgenij Primakov fu nominato ministro degli Esteri. Primakov era un esperto di Medio Oriente e mondo arabo ed era convinto che la Russia dovesse avere un ruolo maggiore in quella regione oltre che nello spazio post-sovietico. In Siria la Russia ha sfruttato l’assenza dell’Occidente, ma anche una profonda conoscenza dell’area. Anche in Libia ha sfruttato una situazione di lotte intestine. È da notare, però, che la Russia è riuscita a dare un’immagine di influenza in queste regioni, ma manca di una strategia sistematica. Mosca vuole mostrarsi come modello alternativo alle democrazie occidentali, ma dall’inizio della guerra ha perso credibilità.

Venendo al conflitto in Ucraina, come mai tra il 2014 e il 24 febbraio 2022 non si è trovato un modo per scongiurare la guerra?

Nel 2014 si è congelato il conflitto con gli accordi di Minsk firmati dagli ucraini e russi. Una della cause è che sono stati interpretati in maniera differente dalle parti. Gli ucraini chiedevano ai russi di lasciare il Donbass prima di concedere una maggiore autonomia alla regione in questione; i russi pretendevano che fosse concessa l’autonomia prima della loro partenza. L’accordo non è mai stato implementato, Francia e Germania hanno provato a mediare, ma si sono scontrate contro i veti di entrambi i Paesi. Va detto che all’inizio del suo mandato presidenziale Zelensky aveva aperto, ma poi nelle politiche interne dei due Stati hanno prevalso le spinte più radicali, e anche questo ha impedito che si trovasse una soluzione pacifica.

Un tema ricorrente all’ombra della guerra in Ucraina è la successione di Vladimir Putin. Lei cosa ne pensa?

La mobilitazione annunciata a settembre è stata una misura molto impopolare, sicuramente serpeggia lo scontento tra molti componenti dell’alta amministrazione. Putin sta indubbiamente correndo un rischio politico molto forte, ma in molti dipendono da lui e una sua caduta potrebbe provocare un vuoto di potere altrettanto visto come pericoloso. Non può certamente essere una strategia quella basata sull’attesa che Putin cada. Putin è il leader con cui abbiamo a che fare e con cui l’Occidente deve, volente o nolente, fare i conti.

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