Dalla stregoneria alle quattro chiese: «Sveliamo i misteri del Castello di Brescia»

Da un intreccio di indagini storiche e analisi della documentazione cartografica è scaturito il libro «La storia del Castello di Brescia dal Medioevo all’Ottocento»: edito in questi giorni da Skira (344 pagine, 36 euro), è un importante punto d’arrivo negli studi sull’evoluzione della fortezza cittadina.
Il volume - suddiviso in cinque sezioni, con un ampio apparato cartografico finale - è il frutto di un percorso di ricerca pluriennale condotto dalla Fondazione Brescia Musei in collaborazione con l’Università degli Studi di Verona. È curato da Marco Merlo, conservatore del Museo delle Armi «Luigi Marzoli» che ha sede nel mastio visconteo, e da Sara Scalia, tecnico dei Laboratori integrati del dipartimento Culture e Civiltà dell’ateneo veronese. Ai loro saggi si uniscono quelli di altri 14 studiosi, portatori di molte novità. Marco Merlo ne racconta alcune in questa intervista.
Dottor Merlo, perché avete intrapreso questa ricerca?
«Gli studi seri sul Castello non mancano, ma sono dispersi in diverse pubblicazioni, a volte difficili da trovare, edite dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri. Le monografie sulla storia della struttura, inoltre, sono molto poche, benché solidissime. Sono entrato in contatto con tutti gli studiosi di rilievo che si erano occupati della fortezza ed è emersa la necessità di un aggiornamento».
Cosa ha aggiunto il confronto tra le planimetrie storiche?
«Abbiamo raccolto e catalogato tutte le mappe note, quasi un centinaio, tra cui alcune mai pubblicate. Con gli studi già editi messi in ordine cronologico, le planimetrie, i nuovi documenti e i ritrovamenti fatti durante i recenti lavori per riaprire il Grande Miglio, siamo riusciti per la prima volta a ricostruire con una buona precisione l’intera evoluzione architettonica del Castello».
Si arricchisce anche il quadro dei rapporti tra il Castello e la città?
«Il primo contributo di ogni sezione mette la storia di Brescia in rapporto con i cambiamenti fisici e architettonici del Castello. Alcune fasi, come il ’700 e il periodo napoleonico, non erano mai state indagate: Giusi Villari si è incaricata di questo studio totalmente inedito, una delle tante novità introdotte dal volume».
Altre nuove acquisizioni?
«I saggi di Matteo Ferrari sugli affreschi della torre Mirabella, mai pubblicati, e del mastio. Mostriamo anche quelli della torre Coltrina: la maggior parte dei bresciani non sa che all’interno è affrescata. Giampietro Marchesi ha pubblicato la planimetria e alcune fotografie di una sortita della Strada del Soccorso nota a pochi perché chiusa al pubblico. Abbiamo ricostruito con precisione tutte le modifiche apportate al Soccorso e trovato la sua attestazione più antica, datata 1425».
Diversi saggi si occupano delle strutture interne…
«Abbiamo chiarito la storia dei vari edifici, ad esempio la cronologia esatta della chiesa di Santo Stefano in Arce, sulla sommità del colle Cidneo, sconsacrata dopo un crollo epocale del terreno che nel 1747 distrusse tutta la fiancata est del Castello. La chiesa venne usata come magazzino fino al 1801, quando fu abbattuta. Nel 1750 era stata consacrata la chiesa che chiamiamo Santo Stefano nuovo, accanto al portale d’ingresso monumentale. Ma abbiamo trovato altre chiese incluse nel Castello: ne abbiamo contate fino a quattro, due delle quali ancora consacrate nella seconda metà del ’700».
Dunque il Castello non fu soltanto un presidio militare...
«I castelli medievali, in particolare nell’Italia settentrionale, raramente furono costruiti per scopi militari. Quello di Brescia fu soprattutto un centro di amministrazione del potere, usato dalle varie dominazioni straniere per tenere sotto controllo la città. Uno strumento utile non tanto per difendersi da attacchi esterni, quanto per sedare eventuali rivolte. Nello stato visconteo, il castellano di Brescia è di nomina diretta del signore di Milano: riceve nel mastio le autorità cittadine e i diplomatici, coordina l’amministrazione delle finanze e la difesa di mura e porte».
Avete risolto altre incertezze?
«Il Castello aveva tanti piccoli misteri. Tra i principali c’è l’enorme arco che, nella fossa dei Martiri, guarda sullo strapiombo. Tutti si sono chiesti a che cosa servisse: ora sappiamo che in quel punto c’era un edificio a due piani chiamato Sentinella di Belvedere, da cui si controllavano verso l’esterno il lato nord, all’interno la polveriera e il laboratorio delle polveri nere. L’abbiamo identificato grazie a un documento curioso: nel settembre 1628 i soldati denunciano che nella fossa - all’epoca si chiamava Ortazzo - solo i più coraggiosi volevano fare la guardia, perché avevano trovato le prove di atti di stregoneria».
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