Badran: «Nei miei corpi mutilati la violenza dell’occupazione in Palestina»
Sbarre, gambe, occhi e cervelli. Gli arti smembrati che assumono sembianze umane, i movimenti ansiogeni castrati da suoni irrequieti a volumi esagerati. Non si capisce in che modo ma sembra di finire catapultati direttamente nella Palestina stretta tra checkpoint e muri, guardando «Memory of the Land», il film d’animazione dell’artista visiva palestinese Samira Badran.
In occasione della Giornata Internazionale del Cinema di Animazione 2025, la regista e artista visiva membro del collettivo Palestina animata ha presentato ieri il suo cortometraggio incontrando il pubblico al cinema Nuovo Eden. Un lavoro nato quando in un centro di riabilitazione a Betlemme ha scoperto da vicino le protesi dei pazienti mutilati e ha cominciato a disegnarle. Quelle protesi, quelle gambe, sono diventate le protagoniste del suo film.

«Nel 2000 si cominciava a percepire l’accelerazione nella costruzione di insediamenti israeliani e controlli sempre più severi nei territori occupati – racconta –. Così ho iniziato a disegnare creando nuove immagini lavorando sulla fotografia analogica di scenari reali».
Così il cervello diventa la rappresentazione della memoria collettiva, le sbarre l’istantanea della reclusione e dell’oppressione, le gambe raccontano dell’immobilità, della difficoltà anche solo a spostarsi. «Le protagoniste sono le gambe perché in Palestina anche solo camminare è espressione di libertà», aggiunge Badran.
Tortura
L’artista, nata nel 1954 in Libia da una famiglia palestinese di artisti e oggi residente a Barcellona, ricorda una specifica violenza da parte dell’esercito israeliano: «Sparavano per disabilitare il corpo dei palestinesi, per mutilarli e quindi per impedire che le persone potessero resistere all’occupazione. L’Idf (l’esercito israeliano, ndr) ha uno specifico tipo di proiettili che esplodono dentro il corpo e che non possono essere estratti. Provocano un dolore persistente che non si può curare. Non uccidono ma torturano, creando traumi fisici e psichici e problemi anche ai familiari che si occupano delle vittime. In Palestina lo chiamiamo il “diritto di mutilare” di Israele».
Geografia del corpo
I plot concettuali intorno ai quali si muove il cortometraggio sono la geografia del corpo, inteso come spazio politico attraversato dall’occupazione, la geografia del corpo frammentato e la geografia del corpo emozionale. Qua e là compaiono anche dei cactus integrati alle protesi. Perché? «Il cactus in Palestina è molto importante perché ne vennero piantati a centinaia, che oggi resistono in mezzo agli insediamenti dei coloni. Quando ne compare uno significa che lì in passato c’è stato un paesino palestinese».
La proiezione del film d’animazione, presentato in numerosi festival internazionali e vincitore del premio Miglior film sperimentale sia al festival Al-Ard (nel 2020) sia al Nazra Palestine Short Film Festival a Venezia (nel 2018), rientra anche nell’ambito del Festival della Pace.
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