Santamaria a Brescia: «Un orgoglio interpretare Nicola Calipari»
«Interpretare Nicola Calipari è stato un grande orgoglio, una grande responsabilità, una grande gioia. Calipari è stato un servitore dello stato che ha messo al primo posto della sua azione la protezione della vita, inseguendo valori che incarnano al meglio lo spirito italiano, quali rispetto, accoglienza e soprattutto gentilezza. Non per caso veniva definito “il poliziotto gentile”: gentile ma fermo, con un grandissimo senso della giustizia».
Questo ci ha detto Claudio Santamaria, in merito al suo ruolo ne «Il Nibbio», che ieri ha presentato a Brescia, insieme al regista Alessandro Tonda, al pubblico del Moretto e della Oz. L’attore romano (ma da tempo residente a Milano) è poi entrato ancor più in dettaglio: «Per la parte sono dimagrito dodici chili... Non per raggiungere una maggiore aderenza fisica, che era importante fino a un certo punto, non essendo Calipari un personaggio pubblico, un Andreotti o un Craxi. Quello che volevo, invece, era una figura esile, per evitare che ne uscisse un ritratto muscolare, che sarebbe stato assolutamente fuorviante».
La storia
«Il Nibbio» è un’opera seconda (Tonda aveva diretto nel 2020 l’adrenalinico «The Shift», storia di terrorismo islamico ambientata in Belgio) che è la storia, reale, di un eroe italiano: correva il febbraio del 2005 quando Calipari, un alto ufficiale dei servizi segreti, nome in codice «Nibbio» viene richiamato in servizio mentre trascorreva un periodo di vacanza con la famiglia. C’era da gestire un’emergenza: a Baghdad, nell’Iraq orfano del dittatore Saddam Hussein, controllato dagli Usa e avviato a una difficile transizione democratica, era stata rapita la giornalista Giuliana Sgrena, inviata de Il Manifesto. Memore della barbara uccisione del reporter freelance Enzo Baldoni, avvenuta pochi mesi prima nello stesso paese mediorientale, Calipari si impegna in prima persona nella trattativa per la sua liberazione, superando molti ostacoli politici e burocratici. Portando a casa il risultato, ma pagando un carissimo prezzo personale.
Messaggio e intrattenimento
Tonda ci ha spiegato il senso di un’operazione che lo ha coinvolto anche emotivamente, in cui ha optato per una messa in scena ariosa: «C’era una bellissima sceneggiatura (di Petraglia e Bagnatori, ndr) da cui partire, e poi mi sono basato sulle testimonianze italiane (che non coincidono con quelle americane, ndr) e sui verbali. Ho immaginato di fare un film con un messaggio importante – il senso di giustizia che contraddistingueva Calipari, il suo eroismo non ostentato – ma anche di intrattenimento, con il quale il pubblico potesse immedesimarsi. È stata un’esperienza fantastica: da subito c’è stata una forte responsabilità da parte di tutti, consapevoli della valenza dell’operazione».

L’uomo
Ma è infine Santamaria a regalare un ritratto memorabile di Calipari, attraverso un episodio che gli ha raccontato la moglie Rosa, e che definisce l’”hombre vertical”: «Nicola faceva l’avvocato in Calabria. Il suo capo lo convinse a incontrare un cliente sull’Aspromonte, di notte: era un boss della ‘ndrangheta, che voleva essere difeso da lui. Il giorno dopo, Calipari si dimise e fece il concorso per entrare in polizia. Al titolare dello studio per cui lavorava disse semplicemente: ‘Io questa gente non voglio difenderla, ma metterla in galera’».
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