Chiara Francini: «Narro il coraggio di chi nasce nel giardino sbagliato»

Il Lago di Garda si fa promotore di una cultura diffusa, capace di unire arte, letteratura e spettacolo in un progetto che guarda al futuro. Domenica 29 debutta «Garda-Un lago in festa», l’edizione zero di un festival che, entro il prossimo anno, punta a coinvolgere tutte e tre le sponde del lago.
Un’intera giornata a ingresso gratuito nel Parco del Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera, tra spettacoli, mostre, incontri e installazioni, per dare il via a un’iniziativa ambiziosa e concreta finalizzata a trasformare il lago in un palcoscenico diffuso e permanente. Tra gli ospiti più attesi della giornata c’è Chiara Francini, attrice e scrittrice, voce tra le più versatili e riconoscibili dello spettacolo italiano.
È fissata per le 18 la presentazione del suo ultimo libro «Le querce non fanno i limoni», edito da Rizzoli, nella suggestiva cornice del Laghetto delle Danze. Un romanzo che attraversa cinquant’anni di storia italiana – dal secondo dopoguerra agli anni di piombo – e la cui protagonista, Delia, ha molto da raccontare su amore, lotta e libertà. L’abbiamo incontrata.
Nel suo romanzo attraversa un periodo complesso e decisivo della storia italiana. Cosa l’ha spinta a sceglierlo?
Credo sia il periodo storico che maggiormente ha rivoluzionato e sconquassato gli italiani. In fieri, mentre scrivevo, pensavo a quanto sia importante studiare la storia e conservarne la memoria. Non tanto perché questo ci dia la certezza che non faremo gli stessi errori e non ripercorreremo gli abomini del passato, ma perché la memoria ci dà la possibilità di comprendere più a fondo il passato, per poter vivere un miglior presente e un miglior futuro.
Come ha scelto questo titolo così evocativo?
È una frase pronunciata dalla mia mamma. Come tutte le frasi delle madri può essere molto dolce, ma anche estremamente sferzante – come poi è lei, una vera mamma toscana. Può voler dire che non ci si discosta molto da ciò da cui si proviene, ma anche che non tutti nascono dove possono fiorire. Se nasci quercia in un giardino di limoni, probabilmente verrai giudicata sbagliata e ancora più facilmente potrai essere abbattuta. Così è la mia protagonista, una quercia, che per rimanere nel giardino deve resistere.
Quali sono le donne che l’hanno ispirata per la sua Delia?
Mi sono ispirata alle donne italiane. Non solo a quelle che hanno fatto la Resistenza col fucile, ma a quelle che resistono ogni giorno al disincanto, all’amore, alla vergogna. La vergogna è il primo mantello che ci mettono addosso per controllarci. Specialmente contro le donne, la vergogna è un’arma istituzionalizzata per controllare gli individui e a differenza del senso di colpa che ha a che fare con ciò che si fa, la vergogna ha a che fare con ciò che si è.

Non è la prima volta che il suo romanzo incontra Giordano Bruno Guerri, presidente della Fondazione «Il Vittoriale degli Italiani».
Seguivo e stimavo già da tempo Giordano Bruno Guerri e quando c’è stata la possibilità che presentasse il mio romanzo al Salone del libro di Torino sono stata molto felice perché lo considero un’intelligenza viva, un intellettuale che utilizza in modo affascinante lo spirito critico e che fa della complessità la sua materia principale.
Era mai stata al Vittoriale?
Sì, ci sono stata in passato da privata cittadina. Un luogo magico, quasi un incantesimo. Sono molto felice di potervi presentare il mio libro.
Quanto è importante parlare oggi di liberazione, antifascismo e resistenza?
Parlare di tutto ciò che ci attraversa ha a che fare con la collettività, ed è già un gesto politico: la politica si fa anche scendendo dall’autobus. Il fascismo storico è finito, ma oggi ha preso la forma della semplificazione autoritaria della realtà. Semplificare la realtà è un’operazione che richiede profondità di pensiero e grande cura, perché se lo si fa male si rischia di banalizzarla e di strumentalizzarla. Semplificare male il pensiero è il modo più veloce per ucciderlo. E quando il pensiero muore, nasce la dittatura.
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