Cecilia Sala: «Ascoltando i giovani descrivo tre incendi nel mondo»

Anita Loriana Ronchi
La ribellione dal basso dopo Mahsa Amini, la perdita dei diritti delle donne col ritorno dei talebani in Afghanistan, le speranze deluse degli ucraini: il racconto della giornalista, che domenica sarà ospite a Barghe
La giornalista Cecilia Sala
La giornalista Cecilia Sala
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«Tre incendi» che bruciano il mondo e lo sconvolgono, allargando il rogo ben oltre i luoghi in cui si sono propagati. Si tratta di Iran, Afghanistan, Ucraina. Tre realtà straziate da conflitti, soprusi, repressioni, che la giornalista e scrittrice Cecilia Sala racconta nel suo libro «L’incendio» (Mondadori), attraverso lo sguardo di alcuni esponenti di una generazione per i quali la storia è oggi, ed è da vivere non da subire, anche combattendo se necessario.

Ne abbiamo parlato con Sala, che domenica 4 agosto sarà ospite del Cult-Cura Festival a Barghe, alle 20.45 al teatro parrocchiale, e che è anche autrice e voce del podcast Stories di Chora News, un fenomeno da centinaia di migliaia di follower.

Parliamo de «L’incendio». Com’è nata l’idea del libro?

È il frutto dei viaggi e dei reportage che ho compiuto come inviata negli ultimi anni, in particolare dalla caduta di Kabul nelle mani dei talebani, fino alla guerra in Ucraina. Si tratta di un titolo evocatorio, in quanto l’incendio ha un’accezione negativa, se pensiamo ad un’invasione totale, ma può anche avere il significato di una ribellione che parte dal basso, come è avvenuto appunto in Iran dopo la morte di Mahsa Amini, la ragazza curda fermata dalla polizia alla stazione di Teheran perché non indossava correttamente il velo. Da lì è cominciata la protesta più diffusa nella storia della repubblica islamica che ha trovato forma nel movimento anti governativo «Donna, vita e libertà». Ecco, il libro è un «viaggio» tra questi incendi, che hanno una generazione come protagonista. Anche se quello di «giovani» è un concetto relativo, ho pensato che le persone attorno ai 20 anni fossero le più adatte a raccontare l’incendio che divampava nel loro Paese.

E per quanto riguarda l’Afghanistan?

Qui, dopo vent’anni, sono tornati i talebani. Le ragazze che prima andavano a scuola non possono più farlo, le donne sono stata bandite dalle università. Una regressione nei diritti civili e un’inversione nelle conquiste liberali degli ultimi due decenni. È stato come uno spartiacque, che ha fatto crollare la speranza, per chi vi credeva, che il mondo stesse migliorando. I più adatti a raccontare questo trauma erano proprio quelli che i talebani non li avevano mai conosciuti, che erano nati quindi attorno al 2001.

È stata più volte anche in Ucraina...

Ho fatto 12 trasferte in Ucraina, da gennaio 2022 fino all’ultima, un mese e mezzo fa. L’Ucraina è più simile a noi demograficamente, ma anche in questo caso i ventenni sono stati centrali: sono la generazione post sovietica, quella che ha fatto la rivoluzione di Maidan, che, quando il presidente Yanukovich ritira la promessa di firmare accordi di libero scambio con l’Europa, occupano la piazza. Sono giovani che accettano il rischio e sono le stesse persone che, otto anni dopo che l’Ucraina si è staccata dall’orbita d’influenza russa (e Putin prepara la «punizione»), vanno al fronte a difendere la loro nazione dall’invasione. Ci sono state tre fasi nella vicenda del conflitto russo-ucraino: la prima, dove ha dominato la paura ma anche la sorpresa per riuscire a resistere all’armata russa; dopo due controffensive, gli ucraini si sono illusi di poter liberare tutto e tornare ai confini precedenti; ora pensano che non perderanno, ma nemmeno che vinceranno e riusciranno a riconquistare la Crimea.

Il suo podcast è da più di due anni nella classifica di riferimento dei valori assoluti e lei così giovane (nonostante sia un «concetto relativo») ha ottenuto grande successo. Cosa direbbe a un ragazzo o una ragazza che vogliono intraprendere la sua stessa carriera?

Credo sia importante cominciare presto e avere le idee chiare. A 14 anni sapevo già cosa avrei voluto fare, anche se non potevo sapere se ci sarei riuscita. Ho iniziato a mandare proposte a tutte le redazioni, pezzi anche alle testate online. Quindi ho avuto la fortuna di entrate in «Vice»: da lì i primi reportage da freelance; lavoravo in redazione e cercavo di imparare da quelli con più esperienza. Il «posto fisso» sembrava un miraggio e ho capito che bisognava inventarsi il mestiere. 

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