Cultura

Carl Brave: «Io coattello? Sì, ma vero. E sul palco vorrei Frah»

Parla il rapper romano, che stasera fa tappa in piazza Loggia con il «Notti Brave tour» Bs Summer Music
Il romano Carl Brave sabato atteso in piazza Loggia
Il romano Carl Brave sabato atteso in piazza Loggia
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Carl Brave è uno di quelli per cui è un attimo prendersi una cotta. Richiama, dice nella cornetta «scusa sai, avevo il silenzioso» con l’accento da romanaccio ed è già birretta insieme a Trastevere. O tsunami di vino e whiskey sour, giusto per attingere dal fornitissimo repertorio alcolico dei suoi testi. E le serate con l’indie rapper al secolo Carlo Luigi Coraggio, classe 1989, promettono di essere rischiose, di quelle che esci per un’«imbarcata in motorino» e ti ritrovi alle sei «a mangiare Smarties» dallo zozzone.

Lo si capisce da come le racconta in «Notti brave» e «Notti brave (after)», la doppietta di album scritta e prodotta nel 2018, ora protagonista di un tour estivo su e giù per l’Italia che fa tappa in piazza Loggia stasera, alle 21, per il Brescia Summer Music organizzato dal Cipiesse (ultimi biglietti su www.ticketone.it e nei punti vendita Viva Ticket; posto unico in piedi a 25 euro).

Tra «Camel blu» e «Pianto Noisy», le sue canzoni sono scatti d’autore, scene immortalate su pentagramma fotografico. E la sua camera oscura è una soffitta, dove si immerge in sessioni creative lunghissime, «senza mai alzare la testa finché non ho finito». Una disciplina che ha assorbito dal basket, sport che ha praticato fino ad arrivare alla serie B.

È andata così anche con «Chapeau», il duetto con il bresciano Frah Quintale? Hai voglia, quella è stata una botta d’adrenalina. Mancava una settimana alla consegna e l’ho buttata giù di getto: volevo assolutamente collaborare con lui. Lo stimo tantissimo, ha delle doti canore pazzesche. Ora siamo amici.

Chissà se sabato è in città e passa a trovarti... Magari, sarei felice di averlo sul palco nella sua Brescia.

A proposito di radici, quanto devi a Roma? Sono un romanaccio, orgoglioso di esserlo. Il dialetto che uso nelle mie canzoni è spontaneo, io sono così, parlo come magno.

Insomma un «coattello»... Autentico, non come quelli di Roma Nord che si atteggiano e poi sono dei fighettini. Io sono uno vero.

Di quelli che visualizza e non risponde su WhatsApp, del tipo «abbiamo litigato e t’ho tolto il follow»? Dipende... (ride ndr). Parlo spesso dei social perché sono una realtà, un gioco a cui bisogna giocare. Hanno cambiato il modo che abbiamo di relazionarci, di corteggiare. Però Facebook l’ho levato e su Instagram non pubblico niente della mia vita privata.

E quanto c’è di privato nelle situazioni, a volte assurde, che descrivi? Tutto. Dai cuori in gola, alle ’mbriacate, ai guai: cose che ho vissuto io o che sono toccate ai miei amici. C’è molto di personale.

Quali sono i brani più intimi dei due album? Sempre quelli che metto per ultimi nella tracklist. In «Notti brave» è «Accuccia», dedicata al mio cane che non c’è più e per il quale ho sofferto da morì. In «Notti brave (after)» è «Termini», che parla del mio legame con la stazione e la vita di strada.

Un altro dettaglio che ti lega a Frah: una delle sue pietre miliari è «Nei treni la notte». Bellissima.

Bè, allora stasera ce la fate insieme... Dai, ’stamo a vede. Incrociamo le dita.

 

 

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