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Il bresciano Masini: «Il mio primo libro, nato da un bisogno necessario»

Il docente di Verolanuova ha esordito con il suo primo romanzo, «Ritratto di gioventù». Una storia che guida il lettore in uno dei passaggi più delicati nella vita di un adolescente: l’età adulta
Lo scrittore Valerio Masini - © www.giornaledibrescia.it
Lo scrittore Valerio Masini - © www.giornaledibrescia.it
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Che cosa prova un giovane adolescente quando, all’improvviso, è costretto a diventare adulto? In che modo si accettano parti di sé ancora sconosciute? E come si affronta il dolore? Esiste un antidoto alla sofferenza? Sono queste alcune delle riflessioni dei personaggi del romanzo di Valerio Masini. Un libro, a tratti un romanzo formativo a tratti un giallo psicologico, che mette in luce una delle fasi più delicate della vita di un adolescente: il passaggio all’età adulta. Un grido a una società che è ancora troppo ostinata a giudicare i propri figli, senza ascoltare il loro disagio interiore. Lo ha fatto, invece, Masini, 30 anni, di Verolanuova e docente di inglese che ha esordito con il suo primo libro: «Ritratto di gioventù».

Valerio Masini, com’è nato questo libro?

«Ho sentito l’esigenza di scriverlo. Per me la scrittura è questo: un bisogno necessario di esprimermi. Inizialmente l’idea era quella di creare una sorta di diario che contenesse riflessioni personali. Poi, quelle due, tre pagine iniziali sono diventate 180. E così è nato “Ritratto di gioventù”».

Il libro è un romanzo di formazione che in alcuni tratti si trasforma in un poliziesco psicologico. Perché non farne un giallo sin da subito?

«L’idea di partenza è sempre stata quella di scrivere un romanzo di formazione, non ho mai pensato che la mia opera potesse diventare un giallo. Tuttavia, quando a fine stesura l’ho riletto, sentivo che mancava qualcosa: una pagina, un avvenimento, un passaggio capace di sorprendere, di colpire il lettore. Ad ogni modo, i gialli mi piacciono. Ma il mio modo di scrivere – soprattutto nelle prime righe – è spontaneo, quasi di getto. Il genere poliziesco, invece, richiede una stesura pensata, costruita, con un certo senso logico».

Quindi ci potremmo aspettare un giallo dal suo prossimo libro?

«Forse sì. Magari non un vero e proprio giallo, ma un ibrido».

Nelle prime pagine della sua opera c’è una citazione di Frida Kahlo: «Molte volte nel dolore si trovano i piaceri più profondi, le verità più complesse, la felicità più vera». Perché l’ha voluta inserire?

«Nel libro ci sono diversi richiami a Frida Kahlo e anche il ritratto presente sulla copertina è un suo dipinto. Il dolore è un tema che racchiude il percorso di tutti i personaggi del romanzo. Citando le parole di Frida Kahlo ho cercato di far capire al lettore che l’esperienza del dolore è parte integrante della vita, ci aiuta a conoscerci di più».

Questa riflessione richiama anche una tematica centrale del romanzo: la paura del giudizio degli altri. È così?

«Assolutamente, è la tematica che guida l’intero libro. Ed è anche la causa per cui quasi tutte le vicende al suo interno succedono. Quando si è giovani il pregiudizio è una delle paure dominanti; il timore di non essere all’altezza, di non essere accolti dal gruppo, di rimanere soli: sono tutte emozioni che si provano soprattutto quando si è adolescenti. Un buon antidoto? Accettarsi per quello che si è, senza scontrarsi con le parti di noi che ci fanno più paura. Perché alla fine, nella maggior parte dei casi, si tratta di pensieri negativi che esistono solo nella nostra mente».

Incuriosisce che lei scriva al femminile: la voce narrante è Greta, la protagonista. Come mai questa scelta?

«Greta è stato un espediente, un mezzo per raccontare da un punto di vista esterno le pagine del racconto. Ma è stata anche una scelta pensata perché, nella mia visione, la voce di una donna risultava più empatica, comprensiva e meno giudicante di quella di un uomo. È quindi riuscita a captare tante piccole sfumature della vita».

Nella vita, oltre a scrivere, lei è un insegnante di lingua inglese in diversi istituti della città. Mentre scriveva il suo romanzo, ha pensato ai suoi studenti? 

«Ho pensato ai giovani in senso più ampio, dato che i miei personaggi sono degli adolescenti. Il target del libro sono principalmente gli young adult (lettori dai 12 ai 18 anni, ndr), ma è una storia fruibile anche dagli adulti. La riflessione che ho voluto lasciare loro riguarda l’accettazione del cambiamento: più si cresce, più le cose cambiano. Bisogna imparare a non opporsi a queste trasformazioni, ma ad assecondarle perché è il corso naturale della vita».

I suoi studenti hanno letto il suo libro? 

«Devo dire che erano molto curiosi. A fine anno ho lasciato diverse copie in alcune classi, ma non so se lo leggeranno. Ho chiesto loro di darmi un’opinione appena lo faranno. Al momento non ho ancora ricevuto alcuna risposta. Vedremo».

Professore, un’ultima riflessione: educare alla sessualità e alla diversità a scuola sarebbe un buon punto di partenza?

«Sì, e sarei completamente a favore della loro introduzione nei sistemi scolastici. Anche se, devo ammettere, che sono rimasto positivamente colpito dalle nuove generazioni che stanno andando sempre più in terapia: questo è sintomo di maturità. Significa che i ragazzi di oggi hanno una maggiore consapevolezza di sé e delle proprie emozioni». 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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