Brescia senza persone, auto e luci: fuori dal tempo nelle foto di Bams

brescia. Strade deserte, chiese e palazzi immersi nella luce e spogliati di ogni ostacolo alla percezione della loro vibrante bellezza. Persone, auto, cavi, segnaletica, insegne. Tutto svanito. Quasi una «Dissipatio Humani Generis», scomodando Guido Morselli, a cui sopravvive una Brescia come non l’abbiamo mai vista (neppure nei giorni del lockdown). Depurata attraverso una provocatoria e suggestiva operazione di restauro visivo del cuore antico della Leonessa. Quella di «Brescia - Uno sguardo senza tempo sul centro storico della città», il volume fotografico (280 pagine per circa 300 immagini, 60 euro) realizzato e edito da BamsPhoto (Basilio, Matteo e Stefano Rodella), sintesi di un anno e mezzo di lavoro. Una campagna fotografica vasta e meticolosa all’interno delle Mura venete, per liberare la Leonessa da ogni elemento di inquinamento visivo e offrire - parole di Basilio Rodella - «uno stimolo a quanti ne programmano il futuro urbanistico».

Dallo scatto al «bisturi»
L’operazione in due atti dei tre fotografi monteclarensi (col contributo di alcuni collaboratori) è potentissima. In primis quella compiuta è stata una lunga ricognizione operata ricorrendo ad un’ampia gamma di ottiche: si va dai grandangoli «shift» da 17 mm, tipici della fotografia d’architettura, impiegati per scongiurare linee cadenti o distorsioni prospettiche, fino ai teleobiettivi da 600 mm, che annullando le distanze riavvicinano il centro all’hinterland. Al contempo, le sessioni fotografiche sono state sia tradizionali che dal cielo, con il sorvolo in elicottero o talvolta l’uso all’alba di droni. Quindi, è stata eseguita una maniacale pulitura in post-produzione: da ogni scatto è stato rimosso tutto ciò, verrebbe da dire, che non è pietra o asfalto, vetro o metallo, monumento o scorcio.

La potenza evocativa delle linee architettoniche e urbanistiche viene così esaltata e restituita alla sua purezza ideale, ma non utopistica per dirla con Ferdinando Zanzottera, docente di Storia dell’Architettura al PoliMi - tra gli autori dei testi proposti nel volume - che ricorda come, da San Paolo a Roma, siano molti gli interventi urbanistici che hanno mondato le città dalle «superfetazioni» visive che ne violano la bellezza. Che ci si trovi in una sala di museo, in cui divengono le statue esposte i soli visitatori ammessi, o in una piazza allagata di sole ripresa a mostrarne la vertigine dei tetti e delle superfici deserte, quelli che ne derivano sono panorami e dettagli di una città senza tempo. O con un tempo sospeso. Gli scatti ci restituiscono - nella forza icastica del bianco e nero - una città altrimenti invisibile nella sua pura essenza di luogo, di spazio organizzato nei secoli, di specchio di una storia.
Via le «ferite»
Un’operazione che implica una sfida, colta dalla sindaca Laura Castelletti, che vi legge «un atto di amore per la città e la riscoperta di un contesto, a radicare la visione di un futuro che si nutre di cultura e meraviglia». Il tutto, va riconosciuto, sposando la lettura di Tino Bino, senza che il centro sia ridotto a «uno spazio architettonico gelido e metafisico alla De Chirico». Piuttosto c’è un richiamo a Luigi Ghirri - ricorda Luisa Bondoni, critica e curatrice del Museo della Fotografia - nel «porre al centro i luoghi nella loro essenzialità non solo formale», spogliando la città «dalle ferite inferte da una società che ci vuole sempre più veloci».

Quel bisturi culturale con cui Bams asporta dalla città ciò che la ammalora visivamente genera «decofotografie», come le definisce con efficace crasi Zanzottera, il prodotto cioè di una decostruzione che restituisce una città liberata dai segni della «modernità urbana». All’osservatore garantisce uno shock visivo intenso, che lascia un po’ come bambini stupiti dinnanzi al primo mare: qualcosa che è sempre stato lì, ma che pure non avevamo mai scorto.
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