Leo Ortolani: «Racconto con la matita la tragedia della Grande Guerra»

È un grande autore di fumetti, che sceneggia e disegna, celebre in particolare per la serie di Rat-Man, supereroe comico con orecchie da topo e abitudini notturne. Ora Leo Ortolani ha alzato la posta con un albo storico, «Tapum», in libreria per Feltrinelli Comics (pagine 240, euro 28), che presenterà personalmente, sabato 8 novembre alle 17, alla Scuola Comics di Brescia.
Ispirato da un racconto di Andrea Pennacchi, il fumetto è ambientato sull’Ortigara, nel giugno del 1917, e richiama nel titolo (onomatopeico) il suono che i soldati italiani percepivano quando sparava il nemico (elemento immortalato in un popolare canto alpino attribuito al compositore clarense Antonio Piccinelli): «Ta», perché arrivava prima la pallottola, colpendo la trincea o i corpi; «Pum», come il rumore della detonazione che seguiva. Abbiamo chiesto a Ortolani di parlarci del suo lavoro.
Leo, «Tapum» è una sfida diversa da quelle affrontate in precedenza, perché ci sono di mezzo la Storia e un conflitto che agli italiani fece più male di ogni altro. I riferimenti paiono più cinematografici («La Grande Guerra» di Monicelli) che non fumettistici («Sturmtruppen» di Bonvi)...
«Tapum» è sicuramente qualcosa che non avevo mai affrontato prima, nella mia carriera di fumettiere (termine coniato da mia figlia Johanna, che trovo perfetto per un artigiano come me, mentre «fumettista» sa troppo di artista e quello non sta a me deciderlo). C’è la Storia, studiata con tutti i mezzi a mia disposizione (il cinema ne è solo piccola parte): soprattutto libri, scritti da chi questa guerra l’ha combattuta; e lezioni di Storia, documentate in trattati sulla battaglia o narrate a voce (anche del professor Barbero), in tanti video divulgativi trovati in rete, come sempre in rete ho trovato le centinaia di documenti su fatti e regolamenti che facevano più danni del nemico e i libri a corredo, fotografici, di illustrazioni e di immagini con cui le persone dell’epoca ebbero a che fare, venendone esaltati a un amor di patria avvelenato, disposti a correre verso le mitragliatrici senza porsi forse troppe domande, che tempo non ce n’era. Fumetti, pochi.
Nessuna traccia di Rat-Man, nemmeno come suggestione?
So che suonerà strano, ma è così: l’autore noto per Rat-Man fa una storia dove non c’è traccia di Rat-Man, nemmeno un po’. Mi piace pensare di poter fare anche cose senza di lui... cose che forse posso fare proprio grazie a lui.
Come entra Andrea Pennacchi in questa avventura?
L’idea della storia nasce dalla lettura da un suo libro, «La guerra dei Bepi». Tre racconti, di cui il primo incentrato proprio sulla battaglia dell’Ortigara: bello e intenso, a livello emotivo. Andrea mi ha chiesto se il libro si potesse trasformare in fumetto e questo mi ha fatto scattare la scintilla. Dopo due anni, passati su altri progetti, ho recuperato quell’intenzione, alimentando il fuoco con tanti altri libri, documenti e scritti, fino a trasformare sia me che Andrea in personaggi.
Cosa pensa di come è stata narrata la Grande Guerra da letteratura e cinema?
Credo che chi l’ha raccontata in prima persona, per averla vissuta, sia il testimone più prezioso, seppur necessariamente parziale. Ho cercato di farmela narrare da più soldati possibile e nemmeno così riuscirò mai a capire cosa provarono nel momento in cui dovevano uscire dai ripari e gettarsi contro i reticolati, in attesa di un colpo che magari li azzoppasse, o li ferisse abbastanza gravemente da potersene tornare a casa, in qualunque modo. I racconti come il mio o come quelli cinematografici, o comunque posteriori ai fatti, sono per forza limitati e influenzati dal pensiero dell’autore.
Oltre a Sylvester Stallone, di cui è risaputo estimatore, chi c’è nel suo pantheon cinematografico?
Beh, Stallone per me va oltre il cinema, è il simbolo di ciò che la forza di volontà, unita a un’intelligenza attenta e vorace, può realizzare in una vita. È un esempio, al di là dei film realizzati (belli o brutti che siano) e delle scelte personali fatte dall’uomo, che tanto siamo tutti fallibili: cosa che sa e dice più volte anche lui, nelle sue narrazioni. Mi piace scoprire le persone dietro al film, così ultimamente cerco di vedermi appena posso con Andrea Pennacchi, attore finissimo, e con Gabriele Mainetti, regista appassionato, entrambi portatori sani di intraprendenza in questo settore dove si tende ad abbattere le montagne, per comodità algoritmica e di piattaforme.
Non si vedono quasi più, in Italia, le riviste di fumetti che sono state palestre storiche per i giovani autori, anche se poi eventi dedicati come Lucca Comics attraggono frotte di spettatori. Qual è lo stato di salute del fumetto italiano?
Credo stia bene. Ma non ho le competenze per dare altre risposte: è un po’ come chiedere a una cellula come sta il corpo.
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