Il Buon Samaritano di Romanino torna a Brescia: l’ha acquistato Fondazione Tassara

Un ritorno «non casuale» in città, quello del Buon Samaritano di Girolamo Romanino acquisito di recente da Fondazione Tassara e da oggi a disposizione del pubblico. Se si vuol credere che ci sia un senso sotteso alla trama degli eventi, il significato portato dall’opera - l’invito all’attenzione per il prossimo, uscendo anche da quella che oggi si definisce «comfort zone» fissata dai ruoli - è quanto mai opportuno, in questi tempi difficili in cui con la violenza emergono anche i bisogni. E l’operazione di Fondazione Tassara va in questa direzione.
L’opera
Il dipinto, un olio su tela di circa 120 x 155 cm, databile attorno al 1540, torna quindi a Brescia, dove le fonti lo ricordano nel 1760 nella collezione Maffei, passata per eredità alla famiglia Fenaroli, poi finito sul mercato antiquario a fine Ottocento, acquistato nel 1925 dallo storico dell’arte medievale Pietro Toesca e da qui agli eredi che l’hanno ceduto. Particolarissima e rara l’iconografia, che rappresenta, attraverso una composizione per episodi che ne segue passo passo la narrazione, la parabola evangelica del Buon Samaritano, ricostruita nell’agile brochure che accompagna la visita dallo storico dell’arte Giovanni Valagussa.
C’è sullo sfondo la Gerusalemme da cui l’uomo si è mosso verso Gerico, incappando nei briganti (al centro, in fuga col bottino) che l’han lasciato ferito sulla strada. Il sacerdote e il levita, ministri del tempio, passano oltre. Si ferma il Samaritano, che lo cura, se ne fa carico, lo conduce alla locanda, si accolla le spese dell’assistenza. Evidenti - sottolinea Valagussa - i riferimenti cristologici: la ferita al costato nell’uomo, l’albero al centro che allude alla croce… Perché chi farà queste cose al più piccolo dei fratelli - dice Gesù - lo avrà fatto a me.
Romanino focalizza la parabola nell’intensità del gesto e dello sguardo del Samaritano, nell’attenzione schiva (non guarda lo spettatore, non cerca l’approvazione) con cui versa vino e olio sulla ferita. Eppure è lui il protagonista, ben definito nell’abbigliamento che lo colloca nel nostro mondo. È probabilmente straniero (calza il turbante), è un cavaliere (ha cavallo e speroni), porta al fianco una spada Dussak tipica dell’Europa centrale, forse della Boemia, ben diffusa nel XVI secolo ma ancora rara in Italia nei primi decenni del secolo. Chi sia questo personaggio, forse il committente, non si sa. Valagussa ipotizza «uno straniero a Brescia nel primo Cinquecento, forse un comandante militare divenuto ricco e in grado di destinare un lascito importante a qualche associazione benefica», forse una confraternita.
Ruolo e responsabilità
Chiunque sia il protagonista, l’importante è il significato che l’opera ancora oggi trasmette, analizzato in maniera approfondita dallo scritto di mons. Giacomo Canobbio, che attualizza la parabola traducendola in una riflessione su ruolo e responsabilità. Se rispettando il proprio ruolo «si vive la propria responsabilità sociale», Canobbio ricorda che «la persona vale più del ruolo che svolge, e la vita è più ampia della funzione sociale che si offre».
E nella vita ci sono «circostanze che provocano apertura, benché sconvolgano i piani», come accaduto al Samaritano incappato lungo la via in un’opportunità di rispondere ad un bisogno. Nell’opportunità di «farsi prossimo», ovvero - ancora Canobbio - «dal lasciarsi provocare da una situazione di bisogno» secondo «un processo nel quale si rimodella il proprio comportamento, che a sua volta rimodella la persona». Una conversione, insomma, distante dall’atteggiamento del sacerdote e del levita che procedono lungo la strada già tracciata dal proprio ruolo (non tocca a me...).
Romanino ben conosceva il dibattito aperto anche a Brescia su questo tema negli anni turbolenti tra la Riforma di Lutero e il Concilio di Trento. Un dibattito e un messaggio che il dipinto traghetta fino a noi (eloquente la scena dell’anziano che «narra» al bambino forse proprio la parabola) evocando la tradizione di cura e carità di cui la nostra città è stata punta di diamante nei secoli, ed invitando tutti, anche oggi, a rispondere alle opportunità offerte dalla vita per «uscire dai ruoli» e rispondere ai bisogni che incontriamo lungo la nostra strada.
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