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Dalì, Magritte, Mirò protagonisti europei del «sogno» surrealista

Francesca Roman
In mostra a Desenzano del Garda fino al 2 giugno opere grafiche ma anche disegni e oggetti dell’ultima avanguardia
«Senza titolo» (1927) di Man Ray, litografia, collezione privata
«Senza titolo» (1927) di Man Ray, litografia, collezione privata
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Sogno, inconscio, surrealtà. A cento anni dal primo «Manifesto del Surrealismo» del poeta francese André Breton, Desenzano propone un’esposizione «rievocativa» con oltre sessanta opere dei principali artisti che aderirono al movimento: Dalì, Magritte e Mirò in testa, ma anche Bellmer, Delvaux, Ernst, Fini, Masson, Matta, Ray e Sutherland, senza dimenticare il padre ispiratore De Chirico.

Inaugurata lo scorso 23 marzo e visitabile fino al 2 giugno, le sale del castello gardesano ospitano la mostra «Il Surrealismo: the infinite madness of dreams» curata da Matteo Vanzan: esposte litografie, acqueforti, acquetinte e acquerelli provenienti da collezioni private italiane e già presentati in numerose esposizioni in Italia e all’estero, tra cui la storica mostra «Dalì», tenutasi a New York, Tokyo e Ginevra dal 1964 al 1970.

«In un excursus di poesie, lettere, filmati e opere d’arte – chiarisce Vanzan –, la mostra di Desenzano si propone di offrire una panoramica generale di un movimento di rottura, considerato l’ultima delle avanguardie storiche di inizio Novecento: l’appello all’irrazionale e all’inconscio, contrapposti al mito della ragione, della realtà oggettiva e della tradizione, questo fu il Surrealismo».

Il percorso

Il clou della mostra è la grande sala al primo piano, che espone diciassette opere di Salvador Dalì (1904-1989). Tra queste, spiccano i quattro interventi pittorici su acquaforte e puntasecca degli anni Sessanta, firmati a mano e già esposti, come si diceva, nella mostra «Dalì»: «Pegasus», «The judgement of Paris», «Zeus» e «Le Christ». Ci sono poi le acqueforti acquarellate a mano (1975-1984), le puntesecche a colori del 1970, e tre litografie che presentano alcuni tra gli elementi più iconici del maestro spagnolo: tabù sessuali, desideri di potenza e fobie, nati dagli abissi della coscienza e fissati sulla carta.

Un dettaglio di «L’homme au chapeau melon» (1967-68) di René Magritte
Un dettaglio di «L’homme au chapeau melon» (1967-68) di René Magritte

Particolarmente rare sono anche le piccole acqueforti e acquetinte a colori, numerate e firmate da René Magritte (1898-1967), che sono esposte al piano terra: celebre il soggetto delle due mele mascherate, «Le Prêtre Marié», più volte raffigurato dall’artista belga anche su tela, che ben esprime la sua ricerca sui rapporti tra visione e linguaggio, sulla creazione di situazioni inattese e impossibili, e sulla valorizzazione di oggetti usuali ma decontestualizzati.

Del terzo grande interprete del Surrealismo, Joan Mirò (1893- 1983), ci sono un paio di acquetinte e acqueforti, oltre a undici litografie a colori, tra cui sette della serie «Mirò sculpteur» del 1974, in cui i colori vivaci e gioiosi e le forme giocose evocano il «lato magico delle cose».

Gli altri protagonisti

In mostra anche le marionette di Hans Bellmer (1902-1975), le figure femminili di Paul Delvaux (1897-1994), le geometrie di Max Ernst (1891-1976), le scene di teatro di Leonor Fini (1907-1996). Ancora, i profili di donna reaizzati da André Masson (1896-1987), la serie di incisioni «Les oh! Tomobiles» (1972) di Sebastian Matta (1911-2002), due litografie di Man Ray (1890-1976), e un’opera a tecnica mista di Graham Vivian Sutherland (1903- 1980).

Completano l’esposizione cinque litografie e un’acquaforte di Giorgio De Chirico (1888-1978), maestro della pittura metafisica e ispiratore di quella surrealista.  

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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