Cultura

Addio ad Achille Platto, poeta e drammaturgo autore del «Bibbiù»

Si è spento a 75 anni dopo aver scritto e lavorato ai suoi testi fino all’ultimo giorno. Domani i funerali a Chiari
Achille Platto si è spento a 75 anni
Achille Platto si è spento a 75 anni
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Ha scritto e lavorato ai suoi testi fino all’ultimo giorno. Lo ricorderemo così, Achille Platto, autore e impareggiabile interprete del suo «Bibbiù», ma convinto, e a ragione, che il suo capolavoro fosse «Aqua trobia». Poeta autentico e puro, che, fra dialetto clarense e italiano, per tutta la vita ha scavato nel dramma dell’abbandono della campagna, con i suoi valori antichi e la sua durezza, e dell’avvento dell’industrializzazione, con i suoi falsi miti basati sui «solcc»: si è spento ieri mattina a 75 anni, dopo una lunga malattia.

Stella del dialetto

La sua storia inizia al concorso "Gabriele Rosa" negli anni Settanta: fra coloro che in piazza della Loggia si alternavano a declamare le loro composizioni, si presentò un giovane bello, alto e biondo, con due occhi chiari e spiritati, che con voce tonante e singolarmente acuta diceva i primi versi del suo «Bibbiù», nato a brani come poesia d’occasione (matrimoni, feste di paese). L’autorevole e severa penna di Renzo Bresciani lo segnalò su queste colonne, e il maestro elementare capì di essere un poeta di razza. Il «Bibbiù» fu pubblicato nel 1978 su disco, con prefazione di Bresciani; poi nella sua forma completa uscì da GAM nel 1987, con prefazione di Pietro Gibellini e tavole di Giovanni Repossi, ed ebbe riedizioni successive.

Biografia

Achille Platto, classe 1948, nasce a Castrezzato, ma Chiari è la sua patria, dove ha insegnato e trascorso una vita. L’esordio è come teatrante improvvisatore, col Gruppo Sperimentale Teatro Due e col Teatro del Maglio: sono gli anni di spettacoli stupefacenti e geniali: «Va ricurdiff le sere che daquàem», «Liunfant», «Dale sés ale nöf», «I signori sono in casa» e altri. Con il «Bibbiù» (reinvenzione in dialetto di passi dal Vecchio e Nuovo Testamento, in chiave contadina) arriva il successo, che lo porta in ogni dove per centinaia e centinaia di repliche (una anche nella redazione del nostro Giornale), e gli fa varcare i confini della provincia. Due gli allestimenti prodotti dal Centro Teatrale Bresciano, dal 1995 al 1999 (regia Paolo Bessegato, scene di Giacomo Andrico, con Ghirardini, Gozio, Mascherpa, Turra, e Platto nel ruolo di Dio).

Nel 2001 col Teatro Instabile di Chiari Platto mette in scena il suo atto unico «Oddio son cose anche divertenti» (in «un brescianese farcito di televisionismi», come scrisse l’amica ed estimatrice Jone Belotti). Anche «Aqua trobia» (poema in endecasillabi, in un dialetto arcaico e potente, edito da GAM nel 1998 con prefazione di Gibellini e tavole di Repossi) nel 2002 diventa uno spettacolo a cura del Ctb (debutto al S. Chiara con Bruna Gozio e Sergio Mascherpa, regia di Bessegato, con varie repliche, poi interpretato anche dal solo Mascherpa). «In Aqua trobia - ha scritto su questo giornale Franca Grisoni - c’è la medesima umanità cacciata dall’Eden che anima il Bibbiù. Sono gli stessi umili di sempre, i non redenti...».

Italiano e dialetto

In «Sacra Familia» (che nel 2009 l’autore recitò da solo, al Circolo Filologico Milanese, dopo aver proposto il «Bibbiù» al Teatro Dal Verme) Platto si discosta dal dialetto, utilizzando una lingua inventata, lombardo-veneta. Lo spettacolo diventa poi uno spettacolo con attori, prodotto dal Ctb. Il problema della lingua è stato per Platto l’assillo di una vita: «Il dialetto vero non esiste più - ci dichiarò nel 2011 -. Anch’io ho perso il contatto con la lingua dei nonni. La nuova lingua dialettale è uno slang da stadio, da bar, spesso volgare, specchio della barbarie dei tempi. O un’arcadia nostalgica, che non porta da nessuna parte. Credo che userò il dialetto e l’italiano, adesso».

Se la vena autobiografica è sempre presente nell’opera di Platto, il suo testo più intimo e forse quello da lui più amato è «Il vetro del cielo», nato da una simbiosi artistica con Bruna Gozio. Debuttò ufficialmente al S. Chiara nel 2015: la forza espressiva di Achille e il controcanto gentile di Bruna Gozio (nel ruolo della poesia) per un testo in italiano con qualche «volo poetico in dialetto». Un nonno si rivolge ai suoi nipotini e racconta la sua vita, dagli anni ’50 dominati dal terrore della guerra fredda, al boom economico, al consumismo; e poi un percorso spirituale, dai terrori instillati dal «Dio padrù» alla confidenza possibile con un Dio Padre. Platto ha sempre recitato i suoi testi. «All’inizio ero un declamatore - ci confidò nel 2009 - ora mi piace essere più intimista».

Omaggio a Chiari

I suoi ultimi testi (in lingua, con qualche coloritura dialettale) sono un tributo alla sua Chiari, rappresentati alla Fondazione Morcelli Repossi: il 16 giugno 2017, a 200 anni dal lascito di Stefano Antonio Morcelli del suo patrimonio di libri «a vantaggio della studiosa gioventù» di Chiari, Platto scelse la forma dell’intervista (con lui in scena Fausto Formenti) per dar voce e corpo al gesuita, e fece il suo ingresso in portantina, nel cortile della Fondazione di via Varisco. Nel 2019 in «Una barboncina alla corte degli umani» raccontò la storia di Peg, cagnetta prodigio che sapeva far di conto, fenomeno nazionale e mistero mai risolto degli anni ’50: il poeta confuse la sua voce con quella della cagnetta, per dire che gli umani «non hanno l’esclusiva sull’intelligenza».

Riconoscimenti

Platto ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti dalla critica nazionale e sue opere sono nelle principali antologie poetiche dei dialettali italiani. Ha vinto vari premi, fra cui quello alla carriera SS. Faustino e Giovita di Fondazione Civiltà Bresciana (2006) e la «Vittoria Alata» del Comune (2007).
I funerali di Achille Platto si svolgeranno domani, lunedì, alle 15 nel Duomo SS. Faustino e Giovita, a Chiari, partendo dalla Casa del Commiato Mombelli, via Rudiano 29/a; il poeta sarà poi tumulato nel Cimitero di Castrezzato. 

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