Cultura

«A Brescia per il mio primo film da regista, un regalo per zio Egidio»

Enrico Danesi
L’attrice Camilla Filippi ha girato il lungometraggio nella città natale: «Qui ritrovo le mie radici tra umanità e solidarietà»
Camilla Filippi (a destra) con il fratello Michele (sinistra) e lo zio Egidio - Foto di S. Lodovichi
Camilla Filippi (a destra) con il fratello Michele (sinistra) e lo zio Egidio - Foto di S. Lodovichi
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Porta in giro uno spettacolo teatrale che ha fortemente voluto, ma è altrettanto concentrata sulla post produzione del lungometraggio con cui esordisce in regia, d’ambientazione bresciana e con un protagonista speciale, a lei particolarmente caro.

L’attrice, artista visiva e scrittrice bresciana Camilla Filippi, 44 anni, è da un lato alle prese con il monologo tutto al femminile «Non esistono piccole donne»; dall’altro, sta ultimando «Il regalo per la pensione», documentario familiare in cui mette al centro della narrazione lo zio con disabilità, Egidio Bordiga, ma anche il proprio fratello Michele e sé stessa.

Ci siamo fatti raccontare dei progetti.

Camilla, nessuno sa chi si cela dietro il nickname Johannes Bückler, ma i suoi testi, diffusi nell’ultimo quinquennio e tra cui spicca «Non esistono piccole donne», hanno raggiunto il grande pubblico con il passaparola. Perché ha deciso di portarlo in scena?

Contiene molte meravigliose storie di donne, che volontariamente o forzosamente sono state protagoniste di vicende potentissime, che hanno lasciato il segno: penso a pioniere come Elizabeth Miller, la prima donna a portare i pantaloni, o a Rose Parks e alla meno nota Claudette Colvin, che furono maestre afroamericane di disobbedienza civile, rifiutando di cedere il posto in autobus a un bianco. Porto in giro due versioni: nello spettacolo in forma ampia ho selezionate sei storie, quattro nella più contenuta lettura scenica, anche se tutte meriterebbero una vetrina. Credo che in particolare per i più giovani, la cui soglia di attenzione è in costante ribasso, l’interpretazione in scena sia più efficace: motivo per cui ho coinvolto una regista come Susy Laude in un progetto che ritengo fondamentale.

Camilla Filippi, regista bresciana - Foto di S. Lodovichi
Camilla Filippi, regista bresciana - Foto di S. Lodovichi

A proposito di donne che hanno lasciato il segno: lo scorso anno ha interpretato Giulietta Masina nella docuserie di Sky Arte «Io e Lei». Che effetto le ha fatto?

È stata una scoperta: una donna notevole, quasi sempre relegata al ruolo di “moglie di Fellini”. Era molto di più, in realtà. Un film come «La strada» nasce dalle sue esperienze e si regge su di lei, anche se i produttori avrebbero preferito la Mangano: ma senza Masina non sarebbe stato il grande film che è. Eppure nessuno l’ha ricordata nemmeno in occasione del centenario della nascita, nel 2021!

Il cinema tratta tuttora meglio gli attori maschi, rispetto alle donne?

Qualcosa sta forse cambiando, ma spesso la donna è ancora vista come accessorio. Mi diverte, e allo stesso tempo mi fa arrabbiare, pensare che in «La meglio gioventù» ho interpretato la figlia di Luigi Lo Cascio, in «La vita che vorrei» la sua amante, e prima o poi mi capiterà di fare la sua mamma, ovviamente con Lo Cascio sempre protagonista…

Le riprese in metropolitana a Brescia per il lungometraggio di Camilla Filippi
Le riprese in metropolitana a Brescia per il lungometraggio di Camilla Filippi

Ha un rapporto bellissimo con Brescia.

Perché Brescia è bellissima, e io sono quello che sono perché sono nata a Brescia, in cui un giorno vorrei tornare stabilmente. Rispetto al tuo luogo d’origine, puoi metterti in contrapposizione o abbracciarlo: io ho scelto di abbracciarlo. Cosa facile, considerato il livello di umanità, di solidarietà, di disponibilità che la caratterizzano: si è visto anche in occasione della pandemia, e io ho potuto sperimentarlo in prima persona (dalle istituzioni alla gente) quando ho deciso di mettermi dietro la macchina da presa.

Vi ha girato «Il regalo per la pensione», ora quasi pronto per le sale. Che storia è?

La pensione dello zio Egidio, dopo 38 anni di onorato servizio presso gli Spedali Civili, è diventata l’occasione per girare un film su di lui. È il fratello di mia madre, ed è nato con una lesione cerebrale provocata dal forcipe. Da quando la mamma non c’è più, vive con mio fratello Michele. Essendo di casa a Roma, ho lasciato indietro qualcosa, ma il legame con loro non è mai venuto meno: il documentario è un modo per rinsaldarlo.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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