Un documentario su Cesare Trebeschi, «Gigante del bene comune»

Ricordare cosa accadde nei lager nazisti, visitare quei luoghi di sofferenza ha ancora un valore, eccome. «Qui dobbiamo imparare» che fare memoria «serve a ciascuno di noi per essere noi stessi, schiavi di nessuno. Soprattutto serve a non essere schiavi del nostro disimpegno». È il 2019, campo di Mauthausen-Gusen. L’ultima visita di Cesare Trebeschi sul luogo del martirio del padre Andrea. È stanco, sofferente, attorniato dai familiari, ma lo sorregge la solita grande forza di volontà. Raccoglie l’invito a spiegare il senso della presenza a Gusen, guarda nella telecamera dello smartphone e pronuncia quelle poche parole. Un video privato per ricordare la giornata, un frammento che contiene un’esistenza.
Il film
Quegli istanti sono una delle perle racchiuse nel film «Cesare Trebeschi. Gigante del bene comune», prodotto dalla bresciana AlbatrosFilm per la regia di Nicola Lucini, coautrice Elena Marino, che sarà proiettato in anteprima oggi alle 18 nell’aula magna di Giurisprudenza in via San Faustino. Un documentario di 54 minuti con tanto materiale di archivio, filmati con il protagonista (pochi, tuttavia, quelli esistenti), tredici interviste. Un lavoro che, nato per far conoscere alle giovani generazioni la lungimiranza di Trebeschi sul tema dell’innovazione e della sostenibilità (leggi il teleriscaldamento), è diventato una biografia dell’uomo, un ritratto del suo tempo, una riflessione sui cambiamenti di Brescia nell’ultimo mezzo secolo. Trebeschi, morto nel 2020 a 94 anni, è stato sindaco (1975-1985), presidente dell’Asm (1971-1974) e ancora prima consigliere e assessore provinciale. Un lungo impegno civico, una straordinaria testimonianza etica e morale fondata su una solida fede di impronta calvinista. Un «gigante del bene comune», appunto.

Testimoni
«È stato un lavoro entusiasmante», commentano gli autori Nicola Lucini ed Elena Marino. «Abbiamo avuto la possibilità di sentire tante personalità che hanno caratterizzato gli ultimi decenni della storia di Brescia». Un mix di testimoni della vicenda politico-amministrativa di Trebeschi e di quella privata. Tredici gli intervistati: la figlia Ludovica, i nipoti Sofia e Andrea, il cugino Arnaldo, Tino Bino, Ida Gianfranceschi, Paolo Corsini, Emilio Del Bono, Franco Ragni, Claudio Bragaglio, Gianluca Delbarba, Giovanna Giordani e Renato Mazzoncini. Ognuno sottolinea aspetti diversi della personalità e dell’azione di Cesare. Sofia, ad esempio, tocca il tema della trasmissione della memoria. Trebeschi portava i figli e poi i nipoti sul luogo del martirio del padre, a Gusen. Un percorso per alimentare in loro il dovere dell’impegno per il bene comune contro la barbarie, in una sorta di catena che tiene insieme le generazioni. «Trebeschi - sottolineano Lucini e Marino - ha trasformato il dolore per la perdita del padre in impegno civile».

Tra fede e impegno civico
Arnaldo, invece, nel suo intervento si sofferma sulla fede di Cesare. «È una parte del film molto interessante e intrigante», sottolineano gli autori. Soprattutto negli ultimi tempi i due cugini affrontavano l’argomento. La fede. Perché esiste il male? Come si può credere in Dio dopo tutto il dolore vissuto (il fratello di Arnaldo, Alberto, e la cognata Clementina morirono nella Strage di piazza Loggia)? Sono due interrogativi su cui discutevano a lungo. «Tutti gli intervistati, comunque - riflettono Lucini e Marino - sono rimasti colpiti dalla fede e dal senso religioso di Trebeschi». Il rapporto stretto tra fede e azione, la sua coerenza. «Era una personalità capace di avere una visione della complessità e di governarla», dice Nicola Lucini. Un suo insegnamento che il film mette in luce, ribadisce Elena Marino, «è l’idea che un amministratore pubblico deve essere lungimirante, costruire i presupposti per il futuro della città, anche se magari non sarà lui a raccogliere i frutti». Era tutt’altro che un cercatore di facile consenso.

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I luoghi
Il documentario è girato in vari luoghi che rimandano all’attività di Cesare Trebeschi, dalla casa di famiglia a Cellatica a Palazzo Loggia, dalla centrale del teleriscaldamento in via Lamarmora all’Ateneo (di cui fu presidente dal 1995 al 2001). Il suo testamento morale? Risponde Elena Marino. «Credo sia questo: chiederci ogni giorno cosa possiamo fare nella battaglia contro la pigrizia che ci distoglie dall’impegno per il bene comune».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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