Paolo Rumiz: «Quanto sarebbe attuale per l'Europa la proposta benedettina»

Nel 1964, papa Paolo VI proclamò san Benedetto patrono d’Europa. Dopo il crollo dell’Impero romano d’Occidente, la rete di monasteri ispirata al santo di Norcia aveva aperto una nuova via di salvezza a un continente percorso da violenza e paura. Una rinascita fondata - scrive Paolo Rumiz - su «valori dimenticati: l’accoglienza, l’ascolto, lo zelo buono, il piacere dell’opera compiuta, la preghiera, il rispetto della natura».
Rumiz - giornalista, scrittore e spirito pellegrino - nel 2019 ha pubblicato il libro «Il filo infinito» (Feltrinelli), un viaggio nei monasteri benedettini d’Europa alla ricerca dell’attualità della Regola di Benedetto. Proprio «Benedetto da Norcia: una proposta attuale?» è il titolo dell’incontro al quale Rumiz interverrà a Brescia martedì 7 febbraio alle 16.30, promosso dall’Università Cattolica nell’ambito delle iniziative per la festa dei santi patroni cittadini.
Paolo Rumiz: il monachesimo benedettino può ancora insegnare qualcosa all’Europa?
I benedettini comparvero in un momento difficilissimo: l’Impero romano era crollato ed eravamo in preda alle invasioni barbariche. In quel periodo, un segno di ricostruzione così potente aveva del miracoloso. Se lo riferiamo all’oggi, esso ci dice soprattutto che è molto facile essere europeisti quando le cose vanno bene. Difficile, ma assai più importante, è esserlo in momenti come questi, in cui il senso del nostro esistere nella carta geografica si va sfaldando.
Perché la rinascita europea partì dal «forte cuore appenninico» dell’Italia?
Il monachesimo benedettino cresce nella cifra di una formidabile capacità ricostruttiva che attecchisce non a caso sulla dorsale appenninica, abitata da popolazioni transumanti e colpite periodicamente da terremoti devastanti. L’Europa intera ha una forte impronta benedettina. Dobbiamo tanto, anche a livello materiale, a quella cultura: la norcineria, certe tecniche di coltivazione, di irrigazione, di raccolta del foraggio, stagionatura dei formaggi, invecchiamento del vino, vengono da quella radice. Eppure, dopo i terremoti dell’Aquila e di Amatrice, si ritarda proprio la ricostruzione dell’area che ha visto la nascita dei grandi ricostruttori d’Europa. È il segno gravissimo di una mancanza d’identità.
«L’evangelizzazione dell’Europa - scrive nel libro - è andata avanti di pari passo con l’impianto delle vigne»...
L’Impero romano aveva delegato il lavoro manuale ai barbari, perché considerato secondario rispetto a quello intellettuale. Benedetto, invece, attribuisce la stessa dignità a chi lavora nello scriptorium e a chi lavora nell’orto. Anche il lavoro manuale ha una sua nobiltà e santità. Ma noi oggi, come alla fine dell’Impero, ci stiamo riempiendo di schiavi sottopagati per tenere in piedi un sistema che altrimenti crollerebbe.
Ebbe peso anche una Regola nella quale «non vi sono prescrizioni tiranniche e assolute»?
Le basi della ricostruzione furono poste anche attraverso un modello di vita in comune con regole precise, soggette tuttavia a un’interpretazione «morbida». Si ritiene che l’amore sia sempre al di sopra della Regola. Questa «morbidezza» poggiava però su una struttura forte.
E su un valore primario, quello dell’accoglienza...
Il portinaio all’ingresso dei monasteri ti accoglie senza chiedere nulla, ma ti avverte: qui dentro valgono delle regole. Metafora importante per un’Europa che è da sempre punto d’arrivo di popoli. Noi, purtroppo, siamo deboli nell’accoglienza e anche deboli nell’indicare le regole, perché siamo i primi a non seguirle; e in questo l’Italia primeggia.
Sarebbe utile all’oggi anche il «comandamento della letizia?
Sì, e non è un caso che tanti dirigenti d’azienda consultino abati o monaci di valore in cerca di motivazioni per il loro personale, intristito da una competitività esasperata. Benedetto distingue lo zelo amaro, legato alla competizione fine a se stessa, e quello dolce, legato al piacere del lavoro ben fatto in letizia. Intesa non come un diritto, ma come un dovere: dando esempio di letizia creerò un ambiente favorevole agli altri e a me stesso.
Ora, nell’Europa unita dai benedettini, è scoppiata un’altra guerra... Come la vede?
L’Europa non starà in piedi senza una narrativa nuova che non sia un semplice assemblaggio di mitologie nazionali, ma un racconto che ne mette in rilievo il destino unitario. Sarà risucchiata o modificata geneticamente dai Paesi dell’ex Patto di Varsavia, Ucraina compresa, che hanno un’idea di nazione monoetnica ormai arcaica. L’Europa deve narrare se stessa in modo diverso per creare un’appartenenza comune. Così finora non è stato.
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