«Io, sindaco innamorato della mia città: solo così ho potuto amministrarla»
Doppio appuntamento bresciano, ieri, per Leoluca Orlando, ospite nel pomeriggio nell’auditorium di Confartigianato per «Dopo Librixia 2023», appendice della Fiera del libro di Confartigianato Imprese Brescia e Comune di Brescia, e in serata a Chiari per la Rassegna della Microeditoria curata dall’associazione culturale L’Impronta. In entrambi i casi, l’occasione è stata la presentazione del libro «Enigma Palermo. La politica, la paura, il futuro. Storia di una città e del suo Sindaco» (Rizzoli), scritto con la giornalista Constanze Reuscher.
Primo cittadino
Nell’incontro in città, introdotto da Eugenio Massetti e moderato dal vicecaporedattore del nostro giornale Massimo Lanzini, Leoluca Orlando ha dialogato con Emilio Del Bono, in un confronto a tutto tondo tra due (ex) amministratori locali, che, prescindendo dalla distanza geografica, hanno qualcosa che li accomuna profondamente: l’amore per la loro città. Un legame di grande intensità e che «si fatica a trovare negli esponenti della politica nazionali e regionali». Da parte di Orlando un omaggio a Brescia, città «in cui torno con grande emozione, punto di riferimento di quel cattolicesimo democratico che ha ispirato le mie azioni». «Due cose non si possono fare senza amare - ha detto il già parlamentare ed europarlamentare -: il capo dello Stato (chi non ricorda al proposito Pertini?) e il sindaco. Se non ami la tua città, non hai titolo per amministrarla. La crisi della politica italiana nasce anche dal fatto che è stato distrutto il rapporto tra la gente e l’eletto. Il sindaco, invece, è colui che tocca ed è toccato dai cittadini e l’Amministrazione comunale resta l’ultimo avamposto della partecipazione democratica».
Un sentire condiviso da Del Bono, ora vicepresidente di Regione Lombardia: «Devi essere innamorato della tua città quando ti candidi, quando vieni eletto ed anche quando abbandoni. È un’esperienza totalizzante, che ti fa diventare più umile perché cominci a misurare i tuoi limiti e dove non c’è spazio per l’ipocrisia. Credo - sottolinea l’ex primo cittadino di Brescia - che questo spaventi la politica, soprattutto ad un livello superiore, in quanto il sindaco fa pedagogia civile, vuole portare un sistema di valori dentro la sua comunità».
In politica
Nel libro, Orlando ricorda le ragioni che lo spinsero nel 1980, allora giovane giurista, ad intraprendere la strada della politica: fu l’uccisione per mano di Cosa nostra di Piersanti Mattarella, fratello dell’attuale presidente della Repubblica; una morte «che mi sono ripromesso di vendicare». La sua prima elezione è datata 1985: al tempo i media parlavano di Palermo come della «capitale della mafia» (mancavano ancora sette anni agli attentati che costeranno la vita ai giudici Falcone e Borsellino) segnata dalle bombe e dalla paura. Poi, inizia la Primavera di Palermo, di cui Orlando è stato indubbiamente simbolo, che poco alla volta trasforma la città in una metropoli cosmopolita, in un luogo di diritti e di accoglienza. Che cosa è successo? «La mafia ha commesso un grande errore con le stragi del ’92 e ’93: ci ha costretti a cambiare; noi, che eravamo professionisti dell’antimafia in solitudine, siamo usciti dall’isolamento; c’è stata una rivolta civile, un cambio culturale. Anche l’esempio di don Pino Puglisi, il parroco di Brancaccio assassinato il giorno del suo compleanno e che muore col sorriso dicendo “Me l’aspettavo”, ci ha fatto capire che non basta applicare la legge».
Concetto, questo, che lo scrittore e politico illustra con veemenza: la verità storica non sempre coincide con la verità giudiziaria e vanno separati i termini diritto/diritti. «Dobbiamo sostituire, alla cultura di morte della mafia, una cultura di vita» afferma quindi «U Sinnacu», come ancora lo chiamano i palermitani, e si sofferma sulla questione dei migranti («Chi vive a Palermo, è palermitano»), sulle forme di razzismo («La razza è una sola, quella umana») e sull’identità, che per ciascuno è «unica e irripetibile». Perché, alla fine, la politica «non è mai un’altra cosa: o è vita o è cattiva politica».
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