Cultura

D'Annunzio di Brescia, il silenzioso esilio dorato sul Garda dell’«Inimitabile»

Una rivisitazione del rapporto fra il Vate e la Leonessa d’Italia negli anni in cui si insedia al Vittoriale degli Italiani
Gabriele D'Annunzio - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
Gabriele D'Annunzio - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
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Quanti (moltissimi) visitano il Vittoriale lo fanno attratti soprattutto dal fascino che continua ad esercitare l’Inimitabile. L’arredo della Villa, la disposizione dei locali, la scenografia: tutto parla dell’Imaginifico, il più originale, imprevedibile, audace degli intellettuali italiani del Novecento. Difficilmente, credo, si chiedono cosa abbia rappresentato per il Poeta-Soldato chiudere la propria vita avventurosa nella quiete di Gardone. Lontano dai palazzi del potere, fuori dal circuito del bel mondo, di cui pure sino allora (gennaio del 1921) era stato assiduo - e gettonatissimo - frequentatore.

Brescia non gli era sconosciuta

L’aveva visitata con ogni probabilità già nel 1902 per ammirare la Vittoria Alata. Vi era tornato nel 1907 per assistere al Terzo circuito Florio e nel 1909 per compiere «il volo periglioso» a Montichiari. Quando D’Annunzio giunge a Gardone è reduce dall’amara sconfitta di Fiume, da quell’impresa fallita su cui aveva scommesso tutto se stesso. È la grande svolta della sua vita. Non aveva mai eletto un luogo a sua dimora fissa, tanto meno definitiva.

Ora, invece, si insedia in una villa sul lago di Garda, certo incantevole, ma anche indubitabilmente periferica, decentrata, votata alla solitudine, alla meditazione, al raccoglimento per dedicarsi all’arte, non a riconsegnarsi a quelle «gesta ardite» cui si era consacrato. Quel luogo appartato diventa il suo rifugio, il suo esilio, destinato a prolungarsi fino alla morte.

Il vate nei giardini del Vittoriale a Gardone - © www.giornaledibrescia.it
Il vate nei giardini del Vittoriale a Gardone - © www.giornaledibrescia.it

Non ha più l’energia per azzardare gesta ardite. Soprattutto non ne è più il tempo né c’è più il contesto. Il suo futuro non potrà che essere di un ex combattente, attorniato certo da un’aura di prestigio unico ma un prestigio pur sempre e solo di un ex. La sua vita pubblica si esaurisce d’ora in avanti in apparizioni di tono minore, politicamente spente. Le chiamate a un clamoroso ritorno in campo cadranno regolarmente nel vuoto, come nell’agosto 1921 quando si rifiuterà persino di ricevere la delegazione di Grandi, Marsich e Balbo che, in rotta con Mussolini, lo voleva invitare a prendere le redini del movimento. «Ti prego - scrive D’Annunzio a Giuriati - di dichiarare da parte mia che non riceverò nessuno». All’ex Comandante dei legionari non resta che condurre una vita che in altri tempi si sarebbe detta da notabile.

Il disprezzo

In questo sdegnoso chiamarsi fuori non c’è solo un desiderio di raccoglimento e di meditazione dopo le convulse giornate fiumane. Non c’è nemmeno solo una diffidenza coperta verso Mussolini e il fascismo. Pesa un antico, radicato sentimento di estraneità, di totale disprezzo mai dismesso verso la politica del proprio tempo.

Disprezzo, nel quale accomuna «casta politica», parlamentari («sono solo dei cadaveri»), Montecitorio («decrepito e putrefacente»), la stessa forma della democrazia rappresentativa («la grande menzogna») che va infettando tutta la vita italiana, come una piaga cancrenosa in un corpo robusto. La consegna alla riservatezza («il mio perfetto silenzio») viene violata solo o per sostenere col patrocinio manifestazioni e gare sportive organizzate nel Bresciano o per offrire il sostegno a iniziative e opere reclamate dal territorio, o ancora per promuovere in prima persona progetti che reputa utili alla valorizzazione della costa bresciana del lago di Garda.

Le sue uscite pubbliche non rivestono mai alcun specifico significato politico. Testimoniano solo del suo attaccamento, lui «bresciano di Brescia», lui «Gabriele di Brescia» per «decreto di sovrana bellezza», alla Leonessa d’Italia. «L’anno del lungo sonno» - come aveva pronosticato fosse il suo soggiorno a Villa Cargnacco - è destinato a divenire una «vita del lungo sonno».

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