Cucina

I casoncelli hanno più di mille anni

Uno studio del docente di storia medioevale Angelo Baronio ricostruisce i gusti della Bassa prima dell'anno mille e mette a tavola Carlo Magno e il Barbarossa. Tradizione più forte dei manoscritti
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Sant'uomo, Papa Eugenio III, ma sicuramente amante della buona tavola. Si narra che alla fine dell'estate del 1148 venne in visita all'Abbazia di Leno per inaugurare la chiesa di San Benedetto, rifatta dopo un rovinoso incendio. In quella occasione si discusse a lungo tra i monaci cosa mettere in tavola all'illustre ospite e «si era finalmente deciso di scegliere tra le specialità delle corti più vicine all'abbazia, casoncelli e tortelli delle corte di Gottolengo». Del resto da queste parti si era fatto vivo anche l'imperatore Federico Barbarossa per dirimere una disputa tra l'abate di Leno e il Vescovo di Brescia (per la storia ha vinto l'abate). In quella occasione «le vivande furono scelte con cura particolare, facendo attenzione alle preferenze di Federico, che amava, come ogni svevo che si rispetti, i piatti con gusto dolce di fondo. Si racconta che l'imperatore e i dignitari apprezzarono in particolare i tortelli di zucca della corte di Gottolengo dal ripieno di zucca violina e dal sapido gusto del formaticum di media stagionatura».
Sarà vero quanto abbiamo citato tra virgolette? Difficile dimostrarlo «per tabulas», ma anche assai difficile negare che le cose siano andate davvero così. La storia, quella degli uomini che va oltre le battaglie e gli imperi, prende un fascino particolare quando la si racconta così, perché te la vivi da dentro, vorremmo dire che «te la mangi».
E del resto, tanto per rimanere ai presunti gusti del Barbarossa, si perde nella notte dei tempi la consuetudine che dura nelle case lenesi di preparare per la cena della vigilia di Natale i tortelli di zucca conditi con burro fuso.
Un intenso e gustoso brano di storia della nostra Bassa a cavallo del Mille, ma non solo, quando le nostre plaghe erano pulsanti di vita ed attraversate dalla storia quella importante, è fatto rivivere da un agile ed elegante libretto del prof. Angelo Baronio, docente di storia medievale e bassaiolo verace. Il libretto che si legge di un fiato in poco più di un'ora, nasce da una ricerca storica tesa a diventare un prodotto di oggi, grazie ad una importante azienda alimentare di Gottolengo che ha fatto delle paste ripiene della tradizione un fortunato piatto di oggi.
Baronio, che il medioevo lo pratica e si vede, compie un'operazione ardita. Segue le fonti fino al punto dove si fermano e poi mette insieme quelle storie con la disponibilità di prodotti della nostra terra per condurci fino a tavola. L'operazione colma un vuoto di conoscenza che abbiamo della tavola medioevale, mentre sappiamo tutto o quasi dalle corti del Rinascimento in poi. Lo storico si rifiuta inoltre di accettare la teoria (pare prevalente) che se i romani conoscevano già la pasta, ai tortelli si è arrivati dopo l'anno mille. Nella nostra Bassa, dice, esistono da tempo immemore anche se le tracce sono successive. E così rimanda la nascita di tortelli e casoncelli alla bresciana niente meno che a cinquemila anni fa. Li cucinava, con pasta fatta con farina di monococco, ripieni di un grumo di latte rappreso, nientemeno che la madre di Otzi sulle palafitte nei dintorni di Remedello. Così l'autore raggiunge veri squarci di poesia facendo rivivere Otzi in partenza verso le alpi con quei casoncelli «ante litteram» nel cuore e una sacca con farina di monococco in spalla. Non tornerà, come si sa. Lo ritroveranno nel 1991 sul ghiacciaio del Similaun, ma aveva una freccia «made in Remedello» e l'ultimo pugno di monococco ancora nello stomaco. E allora è difficile smentire che Carlo Magno, ospite a Leno durante l'assedio di Pavia del 773, non abbia mangiato davvero tortelli ripieni di carne di porco, verdure e spezie. Quelli erano gli ingredienti del tempo e sull'appetito dell'imperatore gli storici non hanno dubbi.
S'intende che tra i nobili e il popolo ci fossero differenze così la Richelda, moglie del fittavolo Lanfranco, si doveva accontentare della farina di farro mentre i monaci avevano tortelli di farina bianca di grano.
Gianmichele Portieri

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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